L’ascesa dei Fine Wines non teme crisi

In Italia c’è ancora un grande potenziale inespresso per l’ascesa dei fine wines, una sorta di “beni rifugio” che continuano ad attirare investitori, anche meno convenzionali. Cosa sono e perché non vengono perturbati dalle contingenze economiche.

Crisi energetica, scarsità di materie prime, inflazione e le attuali contingenze economiche sembrano non scalfire l’ascesa dei fine wines, un settore che continua a godere di buona salute e addirittura a crescere a livello internazionale, anche in Italia.

Anzi, per certi aspetti l’instabilità economica internazionale spinge gli investitori a proteggere i propri capitali con beni che rappresentano un porto sicuro, come succede anche con i vini di pregio.

A confermarlo è anche Oeno Group, leader nel settore degli investimenti in fine wines, che offre un servizio personalizzato di consulenza a chi vuole investire in questo mondo, con un approccio innovativo che gli ha valso il titolo di “Best Global Wine Investment Firm” della rivista International Investor a maggio 2022.

Fine wines: l’intervista a Gabriele Gorelli

In foto: Gabriele Gorelli

“I fine wines hanno meno connessione con il mondo reale ma sono connessi principalmente con la value proposition, ecco perché sono più protetti dalle perturbazioni dei mercati tradizionali” – spiega il MW Gabriele Gorelli, Brand Ambassador di Oeno per l’Italia. “Il mercato riconosce come fine wines quei vini che si distinguono per l’alta qualità, che riescono ad entrare nell’attenzione della stampa internazionale – per quanto questo sia sempre più difficile, in un panorama sempre più competitivo e parcellizzato -, che siano distintivi, il tutto accompagnato da un’aurea di rarità.

Certo, non è che la piccola quantità comporta in automatico un valore elevato, il processo di premiumization è qualcosa di più complesso, è un gioco di bilancia fra domanda e offerta. Di questo devono tenere conto i produttori, con la possibilità poi di far leva su elementi che aumentano il valore percepito, come la piccola vigna o il territorio di appartenenza, senza mai dimenticare che la longevità dei vini è una condizione imprescindibile”.

Insomma, le regole della formazione del prezzo dei vini commerciali sono diverse da quelle che valgono per i fine wines, in particolare il peso del brand è più che mai incisivo, a rendere meno sostituibile una marca all’altra.

“In Italia, con Oeno, abbiamo avviato un’opera di ricerca di rising stars, cercando di scovare realtà di grande qualità dal potenziale però non ancora espresso a pieno nel mercato”. E chi sono gli investitori e acquirenti dei fine wines? Secondo uno studio dell’Istituto Areni Global effettuato su Stati Uniti, Gran Bretagna, Honk Kong e Cina e presentato al Wine2Wine di Verona, è un mercato di nicchia che coinvolge percentuali minime di vendita sia in Asia che in occidente (il 7% in America, ed esempio). Demograficamente parlando è un mercato più maschile in occidente, ma trasversalmente coinvolge anche consumatori giovani, sotto i 44 anni di età.

Aggiunge Gorelli: “in Italia, oltre agli investitori tradizionali, devo dire che la fascia 25 – 40 è un’età sempre più interessata ed interessante, oltre al pubblico femminile, principalmente quello delle grandi città, Milano in primis. Questo nuovo pubblico ha una visione più agile, meno ingessata dell’investimento”. Le ragioni di acquisto restano le stesse (eventi speciali, regali, investimenti), ma nelle fasce di prezzo più alte influiscono – ovviamente – anche altri fattori: volersi sentire unici ed esclusivi e poter accedere ad un prodotto di scarsa produzione, essere intenditori o particolarmente appassionati, essere collezionisti.

Ad ogni modo oggi investire in certi vini è un modo per avere dei rendimenti del 10 – 14% (molto più elevati rispetto a molti strumenti finanziari) in maniera relativamente certa e senza dover essere in possesso di grandi capitali. Per avere conferma di tutto questo basta guardare il Liv-ex, l’indice che monitora l’andamento dei prezzi dei vini pregiati più ricercati. In particolare, il Liv-ex 1000 – che tiene di conto di 1.000 vini dei sette sottoindici delle aree vitivinicole più di pregio al mondo, fra cui l’Italia (100) – conferma la tendenza positiva con una crescita del 37,8% negli ultimi due anni. Tutti questi indici registrano un calo minimo nel mese di luglio, avvenuto in un momento di grandissima incertezza politica ed economica globale, ma la subitanea ripresa riafferma la solidità del mercato del vino pregiato. Il trend di crescita riguarda anche il mercato italiano: la quota di mercato internazionale dei fine wines italiani è salita dall’8,8% nel 2019 al 15,1% nel 2020 e al 15,4% nel 2021, stabilizzandosi all’11,8% nel 2022. La distribuzione dei territori dei vini di pregio italiani vede ancora in testa la Toscana, che rappresenta il 57,7% del mercato, ma con il Piemonte che è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno. Conclude Gorelli: “c’è da sottolineare che in questo momento i gestori di investimenti guardano con grande favore all’Italia perché i vini ancora non hanno raggiunto prezzi troppo alti, il price tag spesso è sotto all’effettivo valore. Sicuramente c’è molto terreno fertile e un grande potenziale su cui lavorare”.

(Claudia Cataldo)

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