Ne parliamo con Luca Burei, uno dei curatori dell’evento.
Il fine settimana del 24 e 25 ottobre ha visto protagonista Les Champagnes Bio a Roma presso il Radisson Blu Hotel, evento organizzato dal team della Guida 99 Champagne, edita da Edizioni Estemporanee. La manifestazione, ben organizzata, si รจ svolta con dei seminari, aperti al pubblico durante il sabato e, la domenica, con banchi di assaggio alla presenza di 15 produttori dellโACB (Association des Champagnes Biologiques), ai quali era possibile accedere esclusivamente su invito.
Tirando le somme, si puรฒ parlare di una manifestazione di successo: la presenza di vigneron conosciuti per la loro qualitร (ne citiamo soloย alcuni come David Lรฉclapart, Jacques Beaufort, George Laval, Franck Pascal, Fleury ecc…) ย che ha attirato molte persone, arrivate anche da fuori Roma e generatoย una corsa agli inviti โ pochi rispetto alle richieste – quasi frenetica.
Ovvio, lo Champagne esercita sempre un forte appeal ma la sensazione รจ che ci sia unโattenzione rinnovataย intorno a un brand che nel mondo del vino non ha uguali.
Ne parliamo con Luca Burei, curatore, insieme ad Alfonso Isinelli, della 99 Champagne.
Come mai lโidea di dedicare un evento agli champagne bio, un tema cosรฌ specifico, rivolgendo lโattenzione non tanto alla riconoscibilitร ย delle aziende ma al loro approccio in vigna e in cantina?
โUn poโ per caso e un poโ credo sia nel nostro DNA. Era da tempo che accarezzavamo lโidea di portare un gruppo di vigneron in Italia e un paio di anni fa, complice qualche bottiglia di troppo, abbiamo condiviso il nostro progetto con Vincent Laval, presidente dellโACB, e altri vigneron che si sono mostrati subito entusiasti dellโidea. E poi, da sempre, sia noi, come รฉquipe di degustazione della guida, che Edizioni Estemporanee nelle sue pubblicazioni, siamo stati molto attenti e sensibili allโapproccio โnaturaleโ in vignaโ.
Eppure, se di vini naturali si sente parlare da anni, lo Champagne รจ sempre sembrato escluso da questo movimento. Forse anche perchรฉ fino a qualche anno fa la realtร piรน comune era il collegamentoย tra: grande azienda โ alte rese in vigna โ elevati interventi in cantina. Un vino costruito, insomma, dove lโattenzione alla salute della vigna non sembrava il primo pensiero. Per la guida, i tuoi viaggi in questa regione sono frequenti quindi, secondo te, cosa sta cambiando?
โร vero che la Champagne sembra reagire in ritardo rispetto al movimento naturalista nel vino, ma dโaltronde รจ anche unโAoc nella quale il peso delle grandi maison, della concentrazione finanziaria, รจ particolarmente rilevante e, si sa, gli azionisti approvano alcuni cambiamenti profondi nei metodi produttivi solo quando sono sicuri che faccia bene al portafogli piuttosto che alla vigna. Eppure qualcosa sta cambiando: i bio non sono piรน visti come untori, il CIVC (Comitรฉ Interprofessionnel du Vin de Champagne, NdR) ha promosso la โviticultare durableโ, ovvero un primo passo verso la riduzione dellโuso indiscriminato della chimica in vigna e grandi maison convertiscono parte delle loro vigne al biologico o escono con cuvรฉe dalle uve certificate.
Insomma, rispetto ai primi anni dei nostri viaggi in Champagne, molto รจ cambiato e molto cambierร , basta vedere la fiducia che hanno i vigneron dellโACB sul loro futuro”.
In generale dagli assaggi che hai fatto, come hai trovato il livello qualitativo medio degli champagne bio?
“Personalmente amo molti produttori bio, da Vincent Laval a Bertrand Gautherot, passando per Benoit Lahaye e Pascal Doquet, ma non credo sia corretta la contrapposizione tra bio e convenzionali, anche se io stesso spesso provo la tentazione di farla. Lโequazione bio=buono non รจ vera, cosรฌ come convenzionale=cattivo. Certo i produttori bio hanno un approccio al vino piรน sincero, meno mediato, probabilmente piรน territorialmente consapevole, ma anche, a volte, piรน โlontanoโ dal concetto di champagne cosรฌ come lo abbiamo conosciuto finora. E ciรฒ non รจ detto sia sempre positivo, parlo ovviamente dal punto di vista di chi beve. Di certo, deo gratias, stanno attenti alla solforosa e questo, soprattutto confrontandoli con alcune maison, si sente parecchio, per fortuna”.
Anche alcune aziende di grandi dimensioni, come Roederer, si sono convertite, o lo stanno facendo, al biologico e anche alla biodinamica. Strategie commerciali o รจ qualcosa di piรน profondo?
โDifficile leggere le intenzioni delle maison, ovvero quanto il marketing giochi un ruolo importante in ciรฒ. Dipende dallโapproccio che hanno al vino. Il Rรฉgisseurs des vignobles di Roederer, per esempio, ritiene che usare una parte bio negli assemblaggi conferisce al vino una certa rustica fierezza, quasi una gagliardezza anche nellโinvecchiamento, di cui hanno bisogno e che poi perรฒ deve essere mitigata nellโassemblaggio. Ecco, loro sono convinti assertori della conversione, anche se specificano che non vogliono farla su tutti i vigneti.
Certamente le maison si sono accorte che il marchio bio commercialmente tira parecchio e quindi bisogna sfruttarlo, al di lร che sia una posizione eticamente convinta o solo di opportunitร .
Dโaltra parte la battaglia che si รจ svolta a livello comunitario sulla certificazione bio, finita con lโannacquamento – mi pare un termine qui assai appropriato – delle regole per favorire il vino bio industriale, non รจ stato di certo un segnale che fa ben sperare”.
Il mercato italiano sembra molto sensibile anche al concetto, piรน generale, del Recoltant manipulant, ossia quel vignaiolo che elabora e commercializza champagne provenienti da uve esclusivamente di sua proprietร . Come te lo spieghi?
โCredo che lโitaliano ami sempre lโespressione artigianale del lavoro: รจ insito nella tradizione del nostro paese che, si sa, riluce quando si confronta nelle piccole dimensioni, in qualsiasi campo. Credo vi sia, dunque, nellโapprezzare il lavoro del Recoltant Manipulant la voglia di riscoprire radici proprie e di ascoltare una voce sincera, meno influenzata da quella mercificazione globale che ormai pervade i nostri consumi e della quale, speriamo, iniziamo a essere stufiโ.