Il riso classico è in declino. Al suo posto potrebbe arrivare il riso proteico a base di manzo

La denuncia arriva chiara e tonda dal Presidente di Strada del Riso Vercellese di Qualità, Massimo Biloni che, conoscendo il prodotto a tutto tondo, ha avuto il coraggio dire che “il riso classico sta morendo”.

Queste parole possono apparire drammatiche e forse esagerate, ma Biloni ha perfettamente ragione: il riso classico sta subendo un declino talmente netto, evidente e inesorabile da compromettere seriamente la storia, la cultura e l’economia dell’Italia.

Ma cosa si intende per “riso classico”? Come indicato dal decreto legislativo 131 del 2017, nella categoria del riso classico sono comprese tutte le cultivar 100% in purezza, quindi le varietà nazionali tradizionali come Carnaroli, Arborio, Roma, Baldo, Ribe, Vialone Nano e S.Andrea e solo se dotate di tracciabiità varietale (dalla semina alla lavorazione).

L’obiettivo del decreto era ovviamente quello di salvaguardare e promuovere le tipologie di riso made in Italy e tutelare il consumatore, evitando così che alcune aziende potessero spacciare per varietà in purezza tipologie, invece, ottenute da miscele straniere.

Eppure, attualmente, solo il 5% della produzione risiera italiana si affida alla dicitura “classico” e a farlo sono maggiormente le aziende di piccole dimensioni. Certo, l’aggettivo “classico” può essere attribuito a una piccola percentuale di casi, il che fa desistere i produttori, ma è comunque paradossale che venga sfruttato così poco conducendo un prodotto made in Italy al collasso.

Perché il riso classico è in crisi?

Da quando è entrato in vigore il decreto, il numero di produttori di riso classico si è praticamente dimezzato, con stime che si aggirano intorno al 45% (quindi meno della metà) e una riduzione dei risicoltori da 335 a 180. Alla base di questo fenomeno vi sono almeno due ragioni: intanto le denominazioni storiche italiane (cioè le varietà classiche) sono poco resistenti alle malattie e per niente predisposte alle tecniche di coltura più moderne e innovative; in secondo luogo, poi, è mancata un’adeguata promozione commerciale su tutto il territorio italiano di queste cultivar, pertanto i consumatori neanche le conoscono (nella maggior parte dei casi).

Nel frattempo, l’apertura verso varietà similari ha comportato l’estensione o la compressione delle superficie di coltura delle varietà di riso; per esempio, ha favorito l’aumento dell’area dedicata al Carnaroli a scapito del Sant’Andrea, il che risulta quasi un paradosso, dato che l’obiettivo del decreto non era di certo quello di mettere in competizione le cultivar tra di loro o, peggio ancora, di farle prevalere l’una sull’altra.

Di chi è, allora, la colpa? Come sempre, la responsabilità è da associare a più figure tra legislatori, risicoltori e consumatori che, allo stesso identico modo, hanno contribuito (e stanno ancora contribuendo) ad affossare sempre più il tradizionale riso classico.

Di questo passo, l’unico modo per poter mangiare del riso decente sarà quello di sedersi al tavolo di un ristorante cinese. E questo sì che è davvero paradossale.

Il riso proteico al manzo può essere la soluzione?

Direttamente dalla Yonsei University, in Corea, arriva una grande novità che (prima o poi) potrebbe finire anche sulle tavole italiane: si tratta del riso di manzo coltivato, creato tramite cellule di muscolo e grasso animale sviluppati all’interno dei chicchi di riso. Il risultato è un alimento ibrido, nutriente e saporito che, una volta immesso in commercio, potrebbe rivelarsi una valida alternativa proteica, più accessibile e a bassissimo impatto di anidride carbonica.

Riso di manzo proteico
Fonte: Il Difforme

I chicchi di riso in questione sono sicuri, con bassa incidenza di allergie e hanno una struttura tale da adattarsi alla coltura di cellule in 3D. Esternamente sono rivestiti da un composto commestibile a base di gelatina di pesce ed enzimi alimentari che li rende molto simili ai classici chicchi di riso ai quali siamo sempre stati abituati, ma con una grande differenza: il “riso ibrido” contiene l’8% in più di proteine e il 7% in più di grassi rispetto al riso tradizionale, con una percentuale di carbonio nettamente inferiore.

Un prodotto di questo tipo, altamente proteico e decisamente economico, oltre che molto simile a un alimento tradizionale come il riso, potrebbe seriamente rivelarsi una fonte nutritiva più accessibile e in grado di aumentare le scorte alimentari di emergenza, soprattutto in quelle parti del mondo dove è difficile fare rifornimento.

E dato che il riso classico potrebbe iniziare a scarseggiare, chissà se il riso ibrido prenderà il suo posto.

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