Giovani ambasciatori del vino: le esperienze di Giulia Cecchi e Niccolò Petrilli

Il futuro del vino passa (anche) dai giovani ambasciatori in giro per il mondo 

Da oggi al 2039 il consumo di vino nel mondo è destinato a frenare. “Complice il progressivo alzarsi dell’età media – ha rilevato Unione Italiana Vini – e la contestuale preoccupante distanza dal vino da parte delle nuove generazioni, si prevede un incremento del tasso di consumo di appena il 7%, con una crescita media annua dello 0,35%”. Poco insomma: l’export dovrebbe riuscire a tenere parzialmente botta, ma sicuramente a numeri ben diversi da quelli a cui ci siamo abituati negli ultimi anni; mentre i consumi interni continueranno a diminuire. Fattori? Crisi economica, ondata salutista e, non ultimi, motivi etnici e religiosi. I mercati dove i consumi andranno crescendo?

Stati Uniti (+9,3 milioni di ettolitri) e Cina (+4,1 milioni, ma per aspetti demografici).

Considerato l’invecchiamento progressivo della popolazione – il Paese più anziano al 2040 sarà il Giappone (52 anni di media), seguito dall’Italia (51 contro 44 del 2020) e dalla Germania (47), con i cinesi (45 anni di media), comunque più vecchi dei 41-44 anni di Francia, Uk, Canada e Usa – la domanda di questa seconda puntata è “cosa oggi fare per intercettare quelle generazioni che saranno i consumatori chiave tra 20 anni per i consumi di vino?”. 

Ad inquadrare il contesto ci viene in aiuto il collega Jacopo Cossater. “Le chiavi di lettura sono necessariamente due – dice il 44enne giornalista – innanzitutto il calo dei consumi va avanti già da tempo, non sembra destinato a diminuire e non riguarda soltanto la Gen Z, ovvero quella che evidenzia un rapporto piuttosto diverso con i consumi alcoolici rispetto a quelle precedenti. L’altra considerazione riguarda il trend dei consumi, che oggi premia le bollicine, i rosati e i vini a basso contenuto alcoolico, a cui si aggiungono i naturali con etichette funk e provocatorie”.

Allora guardiamo a due mercati chiave oggi e domani – ovvero Stati Uniti e Cina, con quest’ultima eterna promessa sposa ma sempre in fuga davanti all’altare – attraverso gli occhi di due giovani italiani che con l’estero ci dialogano e ci lavorano da anni.

Visto dagli Stati Uniti- Giulia Cecchi, 29 anni, Brand Ambassador Famiglia Cecchi e Castello di Monsanto negli Usa

“Vivo negli Stati Uniti con base a New York da circa 7 anni, prima per studio e poi per lavoro. Oggi faccio la spola con la Toscana dove vivono i miei genitori Andrea Cecchi (Famiglia Cecchi) e Laura Bianchi (Castello di Monsanto). Sono entrata in questo mondo passando dalla porta sul retro dei ristoranti stellati newyorkesi, dove ho iniziato il mio percorso professionale che mi ha portato – circa 3 anni fa – ad occuparmi dell’importazione dei vini della Famiglia Cecchi sul mercato americano come ambasciatore del vino. Dal 2023 il mio ruolo si è esteso anche a rappresentare il Castello di Monsanto. Importatori e distributori sono i miei interlocutori principali fino a raggiungere il consumatore finale, attraverso wine dinner (ma anche i wine club delle Università con un target giovane ma acculturato) in cui l’obiettivo è valorizzare il marchio e comunicare i suoi valori. 

Va detto che le nuove generazioni Usa in questi anni hanno vissuto un cambiamento epocale delle loro abitudini, a partire ovviamente dal fattore pandemia che ha stravolto certi schemi. Già prima del Covid, l’exploit riguardava le piccole osterie autenticamente italiane specie in una città come Ny. Qui l’under 35 cerca esperienze, senza troppi formalismi o tecnicismi, attraverso un contatto umano, attraverso il quale sia facile instaurare un dialogo e fare domande curiose per soddisfare il desiderio di scoprire il mondo della “campagna”. Poi si può proseguire fino in Italia per visitare le cantine dal vivo e capire tutto il processo e i valori di sostenibilità che sono alla base di quel vino. Va anche considerato che, come tendenza negli Usa, si sta affermando l’approccio sempre più salutistico delle nuove generazioni a favore di bevande dal basso contenuto calorico o vini dealcolati: questo trend andrà osservato sempre di più. 

Nel breve periodo credo che la semplicità dell’approccio territoriale autentico possa continuare ad essere premiante, unito ad una comunicazione che, anche attraverso il packaging, sia più incline ad una sostenibilità concreta. I social restano ideali – Instagram e Tik Tok, a seconda delle generazioni – per raccontare un’esperienza e quindi garantire il passaparola. 

I vini del momento? Credo che adesso sia proprio il Chianti Classico, il quale sta vivendo un momento di grande spessore per l’alta qualità che molti produttori stanno esprimendo. Una denominazione con un grande futuro anche grazie ad una nuova generazione molto unita in grado di comunicare in tutto il mondo la grande potenzialità qualitativa”.

La fine dell’illusione cinese- Niccolò Petrilli, 39 anni, direttore commerciale Castello di Uviglie in Monferrato e con trascorsi in Cina

“Per parlare di Cina va fatto un passio indietro. Nel decennio 2012-2020 quello cinese ha tenuto in piedi il mercato di vino globale con acquisti da record in valore e in quantità: i magazzini si sono riempiti di vini molto costosi. Poi è arrivata la pandemia e tutto è cambiato: l’illusione eurocentrica di aver trovato l’eldorado si è spenta rapidamente. Come stiamo vedendo le generazioni più giovani sta rallentando fortemente i consumi in Europa, figuriamoci ad Oriente, dove il vino non ha mail realmente sfondato. Come fare? E’ difficile, va detto, ma innanzitutto resta fondamentale seguire dove va l’attenzione dei giovani: per loro Tik Tok è già vecchio, per comunicare usano Discord (e non certo Whatsapp…), questo perché preferiscono evitare i posti dove stanno gli adulti; poi possono essere utili videogiochi, realtà aumentata e qualsiasi ambiente popolato dai ragazzi. Ma domani questo discorso rischia di essere già vecchio. Più in generale reputo che l’autoreferenzialità del vino continui a rappresentare uno dei problemi principali: il linguaggio di degustazione in certi suoi voli pindarici va assolutamente sdoganato.

Futuro? Ci potranno sorprendere Brasile e Africa, a patto però di nuovi approcci politici/produttivi, tra cui anche l’ipotesi di accettare l’idea di dealcolizzare anche i nostri vini”.

(Giovanni Pellicci)

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