Gli italiani mangiano meno carne rispetto al passato. Si è confermata nel 2022 una tendenza già in atto l’anno precedente. A dirlo è un report di Ismea, che riporta i seguenti dati: è calata del 5,6% la quantità di carne bovina acquistata dagli italiani nei primi cinque mesi del 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021. La spesa in euro è, invece, rimasta sostanzialmente invariata, sintomo dell’aumento medio dei prezzi.

Nel 2021 la quantità di carne bovina acquistata era diminuita del 2,1% rispetto all’anno precedente, ma i volumi delle vendite erano in positivo (+5,4%) rispetto alla situazione pre-Covid.

Per quanto riguarda la produzione nel settore delle carni rosse, si riscontra l’aumento dei costi di alimentazione degli animali. Questo comporta che venga macellato un maggior numero di capi, ma con un peso medio inferiore.

I prezzi al macello sono in risalita fino a un +33% e sopra le medie stagionali rispetto agli anni precedenti, una corsa trainata anche dalle dinamiche degli altri Paesi europei. La tendenza al rialzo dei prezzi è un trend che va oltre il breve periodo, come testimoniato anche dal precedente report Ismea sul settore.

Tutto ciò – secondo l’analisi Ismea – non fa che peggiorare il clima di fiducia degli allevatori, preoccupati soprattutto dalla corsa dei prezzi delle materie prime che, associati alla perdita di potere di acquisto dei consumatori, potrebbe rilevarsi catastrofica per un settore da tempo in equilibrio precario.

La carne fa male alla salute?

Infatti, è da tempo che diversi studi ammoniscono sui pericoli per la salute insiti nel consumo di carne. L’IARC, un’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha puntato il dito contro le carni lavorate – vale a dire carne salata, essiccata, fermentata, affumicata, trattata con conservanti, ovvero i salumi, per esempio wurstel, prosciutti, salsicce, carne in scatola o sotto sale, così come i preparati o i sughi a base di carne – affermando l’esistenza di una possibile correlazione tra il loro consumo e il tumore al colon retto.

In realtà, a detta di diversi nutrizionisti, consumare carne non uccide, ma consumarne troppa fa male alla salute. Secondo Benedetta Raspini, dietologa del centro medico Santagostino, «con il consumo di carne lavorata, l’aumento del rischio del cancro al colon è del 18% circa per ogni 50 grammi consumati al giorno. Quindi, nei Paesi occidentali il rischio individuale di ammalarsi è intorno al 5% nel corso di una vita». «Ogni anno nel mondo, circa 34.000 morti di cancro sono attribuibili a una dieta ricca di carni lavorate e circa 50.000 sarebbero i decessi dovuti a un eccessivo consumo di carne rossa», spiega la dottoressa Raspini.

In ogni caso, nessuna patologia è determinata solo dal consumo di carne rossa o di insaccati. Nonostante ciò, gli epidemiologici sono concordi nell’affermare che chi segue diete ricche di proteine animali, piuttosto che alimenti di origine vegetale, corra un maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari o patologie come il diabete.

Proprio per questo motivo, non è necessario eliminare completamente dalla dieta la carne rossa, ma farne un consumo modesto, che equivale a una o massimo due volte a settimana, scegliendo prodotti di qualità elevata, sempre nell’ambito di una dieta che preveda altre fonti proteiche come pesce, carni bianche e legumi.

L’impatto ambientale del consumo di carne

Un altro motivo per cui dovremmo limitare il consumo di carne è la sostenibilità ambientale. Sembra, infatti, che questo abbia delle conseguenze negative sugli obiettivi climatici internazionali e in termini di impatto ambientale degli allevamenti.

A dirlo è uno studio pubblicato su Annual Review of Resource Economics, secondo cui ogni cittadino europeo consuma in media 80 kg di carne all’anno. «Se tutti gli abitanti della Terra consumassero la stessa quantità di carne degli europei e dei nord americani, non avremmo alcuna speranza di raggiungere gli obiettivi climatici internazionali», sottolinea Matin Qaim, uno degli autori.

Secondo quanto rilevato dagli studiosi, per diminuire l’impatto ambientale derivato dall’allevamento di animali da macello, dovremmo ridurre il consumo di carne a 20 chili annui pro capite. Questo, però, non vorrebbe dire diventare tutti vegetariani, strada difficilmente percorribile, anche perché non tutti i terreni del mondo sono coltivabili. Inoltre, nelle regioni più povere del Pianeta mancano fonti vegetali ricche di proteine e micronutrienti. In questi casi, gli animali sono un elemento chiave per una dieta sana ed equilibrata.

L’alternativa alla carne

L’alternativa alla carne esiste ed è la cosiddetta fake meat, vale a dire i sostitutivi proteici realizzati utilizzando soltanto ingredienti vegetali. Si tratta di un alimento che imita gusto, colore e aspetto della carne di origine animale. Oltre a imitarne l’apparenza, ricalca pure la consistenza, non solo a livello tattile ma anche nutrizionale: le proprietà nutritive della fake meat seguono quelle della carne vera e propria.

A optare per questa finta carne, ultimamente, non sono soltanto vegani e vegetariani, ma anche gli onnivori. Infatti, è sempre il report di Ismea a dirci che ad aumentare nel carrello degli italiani nel 2022 sono stati i prodotti a base vegetale proposti come alternative della carne, con un +14,8% dopo il +21% registrato nel 2021 rispetto alla media pre-Covid. Si tratta di un comparto arrivato a rappresentare ormai il 4% della torta totale delle carni, configurandosi come una nicchia in espansione.

I sostituti vegetali della carne sarebbero anche più sostenibili. Si calcola che, in confronto alla produzione della carne animale, con quella vegetale si possa risparmiare sia terra (fino al 95%), sia acqua (fino al 75%). Non da ultimo, ci sarebbe anche un altro risparmio prezioso, quello delle emissioni di gas serra, che si abbatterebbero dell’87%.

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