Alla scoperta del Negroamaro: perché il Salento non è solo mare

5 cantine imperdibili, per un itinerario che si colora dei paesaggi pugliesi e tutto da degustare.

fonte: www.mtvpuglia.it
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Luce, tanta anche quando è nuvoloso. Verde ovunque, ma soprattutto verde oliva, di piante spesso centenarie. E il marrone della terra, il grigio dei muretti, il bianco abbagliante di alcuni palazzi e delle masserie . Questi sono i colori che mi si sono prospettati durante uno splendido giro nel Salento, organizzato dal Movimento del Turismo del Vino Puglia e che prevede un itinerario, non focalizzato sul mare e sulle località turistiche marittime, consigliabile anche soprattutto fuori stagione, alla scoperta di un qualcosa che proprio dal nero prende il suo nome, ossia il Negroamaro. Perché far conoscere meglio questo vitigno, che nel Salento ha la maggiore diffusione, non è una cosa per niente scontata. Considerato il fratello minore del più famoso Primitivo, il Negroamaro scandaglia questo territorio, definendone i tratti e venendone modellato a sua volta, dagli influssi marini più o meno attigui e dalla matrice geologica.
Il nome non sembrerebbe derivare dalla composizione delle due parole, nero e amaro, bensì dalla ripetizione della parola nero in due lingue, niger in latino e mavros, in greco antico.
E’ un vitigno vigoroso, di un’abbondanza che va contenuta se si vuole fare qualità, che matura a fine settembre/inizio ottobre (anche se si sta studiando, dei 75 biotipi presenti, uno più precoce, al fine di anticipare la vendemmia per evitare le piogge autunnali). Predilige i terreni argillosi e si adatta alla siccità. La forma tradizionale di allevamento era l’alberello ora soppiantato dalla spalliera e da altre forme che consentono la meccanizzazione. Ha una buona resistenza alle malattie anche se teme la botrite. Il grappolo è medio, serrato a forma troncoconica, la buccia è pruinosa, spessa, dal colore nero violaceo e la polpa succosa, dal sapore dolce.
Volendo tracciare un profilo organolettico generale, si può riassumere in un colore rosso rubino, che si sta allontanando sempre di più dalla tradizionale unghia aranciata. L’olfatto vira sulla frutta rossa, la marasca, le spezie, le note balsamiche, la tostatura di caffè, il cuoio, la liquirizia, e una certa terrosità, che vira dalla terra bagnata al sottobosco.
Si posso distinguere 3 macro aree di distribuzione di questo vitigno, che attribuiscono al vino caratteristiche diverse:
1. Zona adriatica (da Brindisi fino a Mesagne), con vini strutturati e con una buona acidità, per l’influenza marina;
2. Zona centrale (Salice Salentino), con vini equilibrati e dal color più scarico;
3. Zona ionica (Copertino), con vini colore dal colore intenso, con una vena aranciata e strutturati.

Conosciuto in passato soprattutto come uva da taglio che andava a rifornire, per via dall’alta gradazione, il nord Italia, la Francia e la Germania, sta riscoprendo negli ultimi anni una sua autonomia individuale, vinificato in purezza o in prevalenza (spesso si trova in uvaggio insieme al Susumaniello, alla Malvasia Nera di Lecce e di Brindisi, al Sangiovese, al Montepulciano, o con varietà internazionali), affiancato da problematica tipica delle zone vinicole che da conferitori d’uva o viticoltori “casalinghi” si ritrovano ad essere produttori e imprenditori. Perché se è vero che il Negroamaro è un’uva a sempre più alta espansione, è anche vero che deve trovare una sua identità specifica. Uno stile, insomma, che lo allontani dalle vinificazioni che ne accentuano il carattere non propriamente elegante (una nota “brettata” era quasi un segno distintivo, uniti a un tannino ruvido e un residuo zuccherino piuttosto alto) ma che non vada neanche su un uso della barrique sconsiderato e su eccessivi internazionalismi, che ne falsifichi l’identità.

vecchia vigna ad alberello
vecchia vigna ad alberello

Il rosato da uve Negroamaro appare come una declinazione assolutamente interessante, di beva piacevole, soprattutto se messo in abbinamento con l’ottima cucina pugliese. Tra i più interessanti segnalo il Metiusco di Palama (Cutrofiano, Lecce), per equilibrio del frutto con una buona sapidità, caratteristiche che, più o meno, delinea una certa omogeneità nel rosato salentino da Negroamaro.

Passando ai rossi, come già detto, è più difficile trovare un comune denominatore costante che permetta di inquadrare a pieno uno stile e un carattere. L’aver trovato una delle espressioni più interessanti in una cantina sociale è, invece, una cosa che mi ha favorevolmente sorpreso. Parliamo di Cupertinum (Copertino, Lecce) fondata nel 1935 da 40 viticoltori, conta oggi 400 soci. Vedere, in una realtà di certo non artigianale, un’uniformità qualitativa che non strizza l’occhio al mercato con facili internazionalismi del gusto, ma che riesce a rappresentare uno stile tradizionale (pur avendo anche vitigni internazionali) ben eseguito è una cosa che, da Bolzano in giù, ho sempre avuto difficoltà a riscontrare. In particolare il Copertino Dop Rosso Riserva 2007 (800.000 bottiglie, da uve Negroamaro, con minime aggiunte di Malvasia nera e Montepulciano) è un vino che colpisce con le sue note di cera da mobili, cuoio per poi virare sullo zucchero a velo, che si ritrovano anche al gusto, con un finale lungo e sapido.
Anche Feudi di Guagnano, nel Salice Salentino (Guagnano, Lecce), azienda nata per salvare delle vecchie vigne dall’abbandono, rappresenta uno stile che in qualche modo si può definire tradizionale. In particolare segnalo Cupone Salice Salentino Doc Riserva 2010, da vigne di 50 anni di Negroamaro, con un saldo del 10% di Malvasia Nera e affinato per 12 mesi in vecchi tonneau. Con un naso un po’ chiuso e terroso, stupisce per equilibrio tra una struttura importante e una freschezza che tende al balsamico.

Essendo la Puglia una terra con ancora grandi potenziali di sviluppo, non potevano mancare gli investimenti esterni, che inevitabilmente propongono uno stile più modernista, sia per l’uso di vitigni internazionali che una preferenza per la barrique. E’ il caso di Cantele (Guagnano, Lecce), prima generazione nel Salento di una famiglia di origine veneta, da visitare più per la bellissima struttura al cui interno è possibile soddisfare il palato con i piatti della tradizione in un moderno “laboratorio sinestetico” (un ristorante, in pratica), con cucina a vista, che per l’effettiva emozionalità dei vini. Altra bellezza tipicamente pugliese è Castello Monaci (Salice Salentino, Lecce), nata da una join venture della famiglia Saracca con il Gruppo Italiano Vini. Anche la famiglia Zonin ha creduto e investito nel Salento (Torre Santa Susanna, Brindisi) realizzando Masseria Altamura, dal recupero – eccellente – di un’antica struttura a corpo unico, che con 300 ettari totali, di cui 130 vitati, è sicuramente una delle realtà più importanti di tutta la regione. La cantina è costruita con tecniche di bioarchitettura e in vigna si stanno iniziando delle prove di biologico. Quando Zonin fa le cose le fa in grande e bene, e qui ha avuto l’intelligenza di affidare la direzione tecnica al tarantino Antonio Cavallo, che sta riuscendo a dare un’interpretazione che unisce le esigenze commerciali di questo imponente progetto, a una memoria storica del luogo, realizzando vini molto ben fatti.

Da vedere.
Lecce per la sua eleganza
Copertino, e il Castello angioino con un vigneto di Negroamaro piantato sui bastioni.
Gallipoli, per le atmosfere da città di mare e per il Castello
Galatina, per gli esempi di stile barocco

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