Vini naturali d’Italia, la parola a Giovanni Bietti

Dalla fine degli anni ’90 fino ai giorni nostri, il fenomeno dei vini naturali è cresciuto e è diventato addirittura moda. Giovanni Bietti: “Il vino naturale? Sano e, prima di tutto, artigianale”

bietti-1-1Giovanni Bietti, musicista e grande conoscitore del vino. Né nel primo né nel secondo caso per gioco. In veste di musicista, pianista e compositore collabora con le più importanti istituzioni del panorama internazionale; negli altri panni (quelli di enoequalcosa) è un degustatore della Guida dell’Espresso ed è stato uno dei primi a parlare di vini naturali in Italia, poi non contento ne ha anche scritto (“Vini naturali d’Italia”, poi nel 2013 “Vini naturali d’Italia 2.0” ).

Come si è evoluto, negli anni, il discorso dei vini naturali?
“Collaboravo con Porthos, era il 2000 o forse il 2001, quando intervistai Fabrizio Niccolaini di Massa Vecchia. Si iniziava a parlare di vini naturali, anche in Italia (mentre in Francia se ne parlava già da tempo, ndr): nel 2004, altra tappa importante, nacque la manifestazione di Villa Favorita e finalmente fu palese che i produttori di vini naturali cominciavano a riconoscersi, raggrupparsi, fare squadra. Negli anni ci sono state diverse questioni, come quella dei bianchi macerati o le polemiche e le multe legate all’uso del termine. Alla fine, se guardiamo ad oggi, il fenomeno ha assunto anche un valore di marketing, è diventato una moda”.

Il fatto che non esista un disciplinare per i vini naturali è un limite?
“Il vero limite è che c’è una grande confusione, fra vini naturali, biologici e biodinamici, il consumatore spesso non sa più che significato dare ai diversi termini. Quando si parla di biologico, ad esempio, ci si riferisce ad un protocollo che ammette ben 30 sostanze in fase di vinificazione e limiti di solforosa piuttosto generosi, è un codice insomma abbastanza blando. Avere un disciplinare significa proprio allargare i limiti: e questo va a discapito di chi lavora in un certo modo. Ad esempio, se un eventuale disciplinare dei vini naturali ammettesse l’uso di determinate sostanze, come premiare e rendere riconoscibile chi non ricorre neppure a queste?”

Come definirebbe in poche parole il vino naturale?
“Per prima cosa, si tratta di un prodotto artigianale. Ripeto e sottolineo, artigianale. I produttori che scelgono questa strada non puntano al profitto, né ad un alto numero di bottiglie e seguono dei processi quanto meno invasivi possibile. Il prodotto è sano, digeribile, ha un alto valore gastronomico e alimentare. C’è poi da considerare la massima centralità dell’uva: ogni anno, ogni andamento climatico, dà uve diverse. Il produttore di vino naturale lo sa bene e vuole che la tipicità dell’annata si esprima anche nel bicchiere, senza forzature. Pazienza se questo significa avere un vino che, anno dopo anno, è sempre diverso. Questo si traduce anche nel mancato impiego di sostanze di sintesi, basse dosi di solforosa, rame e zolfo in vigna. Certo, così si rischia di più”.

E’ uscito a novembre un aggiornamento del suo “Vini naturali d’Italia”: cosa è cambiato rispetto alla prima stesura?
“Alcune aziende non ci sono più e altre si sono aggiunte, in generale alcuni criteri sono stati resi più stringenti. Ci sono zone chevini naturali d'italia hanno sviluppato più di altre il fenomeno, in maniera inversamente proporzionale alla notorietà del territorio e dei suoi vini. Ad esempio, in Toscana, c’è un enclave interessante nella provincia di Lucca. E poi c’è il Friuli Venezia Giulia, da sempre in prima linea”.

Lei beve solo vini naturali?
“Non sono un talebano dei vini naturali: ce ne sono alcuni che mi piacciono e altri che non apprezzo. Però penso che non necessariamente un vino, per essere definito buono, debba sapere di frutta o fiori, idea che invece sembra dilagante: sono 30 anni che diciamo al consumatore come deve essere il vino. Per me buono è il vino che è sano, che si lascia digerire, che il giorno dopo non torna martellante a farsi sentire. Un vino in cui a parlare è l’uva e non la tecnologia”.

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