La FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) lancia l’allarme: sono circa 735 milioni le persone che soffrono la fame nel mondo, eppure, a livello globale, il 13% del cibo viene perso nella catena di distribuzione, dal post-raccolto alla pre-vendita al dettaglio, e un ulteriore 17% del cibo viene sprecato a livello familiare.
Il problema della fame nel mondo è gigantesco: in un solo anno, coloro che sono stati colpiti da una grave insicurezza alimentare sono passati dal 21,3% del 2021 al 22,7% del 2022, con un aumento dell’1,4%. La questione riguarda 58 Paesi, rispetto ai 53 Paesi del 2021, con un ulteriore incremento per il quarto anno consecutivo. In questi territori di crisi alimentare, oltre 35 milioni di bambini sotto i 5 anni hanno sofferto di deperimento.
Le dieci maggiori crisi alimentari del 2022, che coinvolgono 163 milioni di persone rappresentando il 63% della popolazione globale totale, in ordine di grandezza, sono quelle in Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Afghanistan, Nigeria, Yemen, Myanmar, Repubblica Araba Siriana, Sudan, Ucraina e Pakistan.
Anche nel 2022 i conflitti sono stati la principale causa delle crisi alimentari, superati, però, in 27 Paesi, dagli shock economici che hanno colpito 83,9 milioni di persone. Il rapporto della FAO conferma l’impatto negativo della guerra in Ucraina. Dopo il picco della prima metà del 2022, i prezzi alimentari sono scesi, ma la guerra continua a incidere indirettamente sulla sicurezza alimentare, in particolare nei Paesi a basso reddito dipendenti dalle importazioni alimentari, la cui fragile resilienza economica era già stata colpita dalla pandemia di Covid.
La battaglia della FAO per un sistema agroalimentare mondiale sostenibile
La FAO evidenzia anche che molti dei sistemi agroalimentari mondiali non sono sostenibili, poiché degradano i terreni agricoli, contribuiscono alle emissioni di gas serra e alla perdita di biodiversità e consumano acque sotterranee. I sistemi agroalimentari sono responsabili, infatti, di un terzo delle emissioni totali di gas serra. I processi di pre e post-produzione nei sistemi agroalimentari emettono quantità significative di metano, un potente gas serra che deriva principalmente dalla decomposizione dei rifiuti alimentari solidi in discariche. Pertanto, la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari, oltre a rappresentare un’importante strategia climatica, in quanto conduce a una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, può svolgere un ruolo chiave nella trasformazione dei sistemi agroalimentari, dato che porta a una maggiore disponibilità di cibo, contribuisce alla sicurezza alimentare, promuove diete sane e costruisce la resilienza.
La FAO ricorda che l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile si propone di dimezzare la quantità di rifiuti alimentari pro capite a livello globale, a livello di distribuzione e consumo, e di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di produzione e approvvigionamento. Dunque, in occasione della Giornata internazionale di sensibilizzazione contro lo spreco del cibo, che ricorre il 29 settembre, la FAO sottolinea che restano solo pochi anni per raggiungere questo obiettivo e che l’urgenza di aumentare l’azione per ridurre le perdite e gli sprechi alimentari non può essere sottovalutata. “Ridurre le perdite e gli sprechi alimentari offre benefici climatici immediati, migliorando al contempo la sostenibilità complessiva dei nostri sistemi alimentari, una trasformazione non nutrizionale necessaria per le generazioni attuali e future”, ribadisce il rapporto della FAO.
In Italia si riduce lo spreco alimentare
Eppure, una buona notizia c’è: con l’inflazione, entrata a gamba tesa nel carrello della spesa, in Italia è crollato lo spreco alimentare. Si compra meno e quindi si butta meno cibo. Rispetto all’estate del 2002, gli italiani hanno ridotto gli sprechi del 25%, con 469,4 grammi a settimana che finiscono nell’immondizia, vale a dire 125,9 grammi in meno, ma anche 54,7 grammi in meno rispetto allo scorso gennaio. A rivelarlo è un’indagine di Waste Watcher, International Observatory on Food and Sustainability, promosso dalla campagna Spreco Zero di Last Minute Market, con il monitoraggio Ipsos, realizzata in Italia, Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Olanda e Azerbaijan.
L’indagine ci dice che Spagna e Francia sono i Paesi più virtuosi. Migliora la Germania, che riduce lo spreco del 43%, così come il Regno Unito, con 632 grammi settimanali a testa, 94 grammi in meno rispetto al 2022. Cittadini più virtuosi anche negli Stati Uniti, area storicamente meno attenta al fenomeno e da sempre ai vertici della classifica, dove lo spreco alimentare scende del 35%, arrivando a 859,4 grammi settimanali pro capite (-479 grammi sull’anno). Svetta, invece, l’Azerbaijan con 1116,3 grammi, vicini alle stime 2022 degli Stati Uniti. In questo Paese inizia ora una campagna di sensibilizzazione, che potrebbe dare i suoi frutti nelle prossime stagioni.
Ispezionando il carrello della spesa, la frutta fresca si conferma l’alimento più sprecato, dove svettano Italia (33%) e Spagna (40%), seguite da Germania (30%) e Stati Uniti (32%), con l’eccezione del solo Azerbaijan, dove si buttano soprattutto cibi pronti. “La massiccia riduzione dello spreco domestico a livello globale – commenta Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero e direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International – è l’effetto combinato di un quadro economico e sociale drammatico, con un indice di fiducia sul futuro molto basso. Lo sforzo dei governi dovrà, dunque, concentrarsi su un doppio binario, economico ed educativo, per riportare il sistema in equilibrio, ridurre lo spreco di cibo e adottare diete sane e sostenibili”.