Raccolta uva da tavola, la varietà senza semi ricopre il 70%

La fase finale della stagione estiva coincide, solitamente, con la raccolta dell’uva da tavola, di cui l’Italia è il principale produttore a livello europeo e, dopo Perù e Paesi Bassi, il terzo esportatore in tutto il mondo.

Negli ultimi due anni è emerso un fatto abbastanza curioso: a prevalere sono le varietà senza semi, che costituiscono ben il 70% del raccolto totale e che, sempre più spesso, sono il risultato di brevetti prettamente italiani. Il merito va riconosciuto principalmente alla ricerca condotta dal Crea e da Consorzi di Imprese Puglisi che, insieme, hanno dato vita a una ventina di nuove varietà con un unico, grande obiettivo: far sì che i consumatori possano acquistare uva senza semi tutta la stagione, fino a dicembre.

Zone di produzione dell’uva da tavola, in testa Puglia e Sicilia

I principali distretti produttivi di uva da tavola sia bianca che rossa sono indubbiamente Puglia e Sicilia che, insieme, coprono ben il 94% del mercato italiano, seguite da Lazio e Basilicata. Rimanendo su territorio italiano, l’uva da tavola è, dopo la mela, il secondo prodotto più esportato in tutto il mondo; a confermarlo i dati riportati da Ismea e confermati da Mario Schiano: “Rilevanti in Italia i numeri dell’uva da tavola – ha evidenziato – con 1 miliardo di kg prodotti da luglio alle varietà tardive in novembre, per un valore complessivo di 655 milioni di euro”.

Di tutta la produzione italiana, il 46% è destinata all’estero ma, al momento, si concentra solo in Europa, mentre l’esportazione fuori dall’Unione Europa ammonta all’1,5%. I Paesi che, a quanto pare, non amano particolarmente l’uva italiana rientrano Usa, Canada e Cina, mentre Germania e Francia sono i principali importatori.

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A oggi, le esportazioni italiane valgono più di 700 milioni di euro e, in merito alle uve italiane, il margine di crescita e miglioramento è davvero enorme; basti pensare che, nei prossimi 5 anni, il fatturato dell’export potrebbe toccare 1,2 miliardi di euro, mirando a un aumento del 20% dei volumi e del 30% dei prezzi.

A notare il trend in crescita è sicuramente la Puglia, tanto che sette comuni del suo territorio hanno deciso di firmare un protocollo d’intesa con l’obiettivo di unire le forze e valorizzare, promuovere e proteggere l’uva da tavola. Si tratta di un caso unico in Italia nel settore dell’ortofrutta e potrebbe essere un primo, importante spunto di riflessione per altre regioni del Belpaese.

Su questo punto si è soffermato Donato Pentassuglia, Assessore all’Agricoltura della Regione Puglia: “Questa forma di aggregazione molto lungimirante – ha spiegato – segna un passaggio culturale di comunità legate alla tradizione contadina e alla Dieta Mediterranea che sanno trovare vie moderne di sviluppo e innovazione, affinché non si paghino più royalties per coltivare l’uva da tavola”.

Dato il successo di questa nuova intesa, l’assessore ha anticipato che la Regione Puglia ha tutte le intenzioni di sostenere nuove ricerche e innovazioni: “Ha dato mandato a Centri di ricerca e Università di accompagnare la crescita del mercato che vira verso le varietà senza semi. E, a Macfrut 2024, la Puglia sarà capofila delle comunità che producono uva da tavola – ha concluso – con l’orgoglio di liberarci dal pagamento di royalties alle spalle di chi lavora sotto i tendoni e nei campi”.

Uva senza semi: storia, coltivazione, usi in cucina

In tanti pensano che l’uva senza semi sia un prodotto dell’uomo, ma non esiste considerazione più sbagliata. L’uva apirena, cioè l’uva priva di semi, è un prodotto 100% naturale che esiste da sempre, tanto che i primi a scoprirla e ad apprezzarlo furono gli antichi greci; non a caso, il termine “apirene” deriva dal greco “ἀπύρηνος”, composto da ἀ- privativa e da πυρήν, cioè seme.

Questa varietà di uva è stata rilevata su diversi reperti archeologici dell’epoca, come vasi e monete, rilevati su suolo sia ellenico, sia mediterraneo; pertanto, viene spesso chiamata anche “uva di Corinto”.

La mancanza di semi può essere sia fisiologica, come nel caso dell’uva sultanina, sia patologica, come in tutte quelle varietà che, in teoria, i semi dovrebbero contenerli. In ogni caso, l’assenza di semi è una conseguenza della partenocarpia, cioè della formazione dei frutti senza fecondazione.

La mancata fecondazione può essere conseguenza di cause diverse: a volte il tubetto dei granelli pollinici non riesce a raggiungere l’ovulo, oppure non riescono a germinare nonostante sian entrato a contatto lo stigma; altre volte, come nel caso dell’uva sultanina, il gineceo non è fecondabile e, di conseguenza, il frutto si sviluppa autonomamente.

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Dato che l’impollinazione si verifica senza la fecondazione e, quindi, non si ha un embrione, manca il seme. Gli acini si sviluppano solo grazie all’impollinazione che, favorendo la produzione di ormone della crescita, moltiplica le cellule dell’ovario come se la fecondazione avvenisse realmente.

L’effetto è ovviamente temporaneo, per questo gli acini rimangono più piccoli; dato che il mercato richiede grappoli grandi composti da acini altrettanto consistenti, sono sempre in atto continue sperimentazioni alla ricerca di nuovi incroci che possano fornire grappoli e acini di grandi dimensioni.

Attualmente, l’uva senza semi è molto popolare, soprattutto perché comoda e versatile: non richiede di essere privata dei semi prima di essere mangiata ed è sicuramente più sicura per i bambini. Non solo, perché anche in pasticceria questa varietà di uva è molto apprezzata, soprattutto per la produzione di dolci tradizionali come la colomba e il panettone.

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