Boom della spesa made in Italy in Austria, Svizzera e Germania

Ottime notizie per l’export agroalimentare italiano, che non conosce battute d’arresto, anzi vola, segnando un aumento del 16% rispetto al 2021 e superando i 54 miliardi nei primi 11 mesi del 2022. I dati sulle esportazioni del food & beverage made in Italy sono stati diffusi in occasione della presentazione di Cibus Connecting, iniziativa in programma alle Fiere di Parma il 29 e 30 marzo.

Ospite dell’evento il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino, secondo cui “nemmeno la pandemia e il conflitto bellico in Ucraina sono riusciti a frenare questa tendenza al rialzo delle nostre esportazioni, nell’ordine del +300% dal 2000 al 2022”.

Secondo gli operatori del comparto, nell’ultimo anno, è possibile fare una stima complessiva di 60 miliardi di vendite di prodotti made in Italy all’estero. Un risultato importante, che è anche il frutto di una costruzione culturale che fa del made in Italy un simbolo di eccellenza e di alta qualità. L’accuratezza nei processi di produzione e la capacità di fondere innovazione e tradizione rendono unico il made in Italy in tutto il mondo.

I Paesi che apprezzano di più i prodotti made in Italy

Antonio Cellie, CEO di Fiere di Parma, ha tratteggiato la cartina geografica dei mercati che danno le maggiori soddisfazioni. “I più alti numeri di spesa pro capite per le produzioni agroalimentari made in Italy – ha spiegato Cellie – si registrano in Svizzera, Austria e Germania. In un anno, un cittadino svizzero spende 177 euro per mettere in tavola cibo italiano, in Austria la spesa pro capite si attesta sui 128 euro, mentre negli Usa la spesa pro capite è equivalente a 14 euro e in Cina 0,2 euro. Il potenziale è in Paesi affini, che capiscono la nostra cultura agroalimentare. In Germania il nostro export può crescere ancora. I produttori italiani devono, quindi, guardare a queste geografie”.

Sul fronte opposto, uno dei Paesi dove risulta più difficile esportare è l’Australia, che ha una sua cultura culinaria molto particolare e dove in cucina prevale il fusion.

A trainare le esportazioni dell’agroalimentare italiano è il vino, che guida la classifica dei prodotti più esportati, seguito dall’ortofrutta fresca. È quanto emerge da un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi 8 mesi del 2022.

Anche la pasta guida da sempre la classifica dei prodotti made in Italy più acquistati all’estero, seguita da caffè, cioccolata, Grana padano, Prosciutto di Parma, Aceto balsamico di Modena, Parmigiano Reggiano, Mozzarella di Bufala Campana, Mortadella Bologna, Pecorino Romano, Gorgonzola, Bresaola della Valtellina.

Il fenomeno dell’Italian sounding

Nonostante questi dati positivi, non è tutto oro quel che luccica. Secondo il presidente di Agenzia ICE Matteo Zoppas, “ora è prioritaria la lotta all’agropirateria: dobbiamo andare a riprenderci quello che gli altri dicono loro”.

“L’Italian sounding – gli fa eco Antonio Cellie – è un problema che erode potenzialità di vendite all’estero, ma lo è anche la fragilità distributiva. Siamo forti in Austria perché ci andiamo direttamente a vendere. Cibus è la fiera della disintermediazione: vuole dimostrare l’importanza del contatto diretto con la distribuzione e la ristorazione estera. È questa l’unica via di sviluppo dell’export autenticamente italiano”.

L’Italian sounding consiste nell’utilizzo di denominazioni, riferimenti geografici, immagini, combinazioni cromatiche e marchi che evocano l’Italia su etichette e confezioni di prodotti agroalimentari tipici della tradizione italiana, ma non prodotti in Italia. Alcuni esempi sono la salsa Pomarola argentina, il Parmesan e la Zottarella tedesca. Si tratta di una pratica fraudolenta, che danneggia enormemente le aziende italiane e, in particolar modo, il settore dell’export.

Nel mondo, il valore dell’Italian sounding agroalimentare è salito a 120 miliardi di euro. La stima arriva da Coldiretti, secondo cui l’agropirateria sarebbe favorita dalla guerra, che frena gli scambi commerciali con sanzioni ed embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati.

“La mancanza di chiarezza sulle ricette made in Italy – afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini –offre terreno fertile alla proliferazione della pirateria. Le esportazioni di prodotti agroalimentari italiane potrebbero triplicare, se ci fosse uno stop alla contraffazione internazionale”.

Secondo Coldiretti, in testa alla classifica dei prodotti più taroccati ci sono i formaggi, a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore. I fake colpiscono anche l’olio extravergine di oliva e l’aceto balsamico, le conserve di pomodoro San Marzano e i vini, dal Chianti al Prosecco, che resta il più imitato.

Il fenomeno dell’Italian sounding è stato analizzato anche da Filiera Italia, secondo cui la sua diffusione sarebbe responsabile della perdita di 300 mila posti di lavoro nel settore agroalimentare nel nostro Paese.

Tutti questi dati fanno comprendere quanto sia importante dotarsi di una visione Paese condivisa, per favorire la consapevolezza del consumatore straniero verso le valenze del made in Italy agroalimentare, comunicando con efficacia il valore del made in Italy e organizzando iniziative di educazione del consumatore.

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