In Italia si lavora ancora alle normative per il vino dealcolato: ecco come ci si sta muovendo
Non se ne sentiva parlare da un po’, ma il vino dealcolato è ancora una proposta che fa discutere anche perché rappresenta un fenomeno di mercato che si sa prendere il suo spazio. L’Italia, in merito, si sta muovendo sia a livello istituzionale che normativo.
I vini dealcolati o dealcolizzati sono già previsti in Europa dal regolamento 2117/2021 mentre si sta discutendo delle pratiche enologiche da autorizzare per produrli e delle regole specifiche sull’etichettatura.
Più complicato il quadro normativo nazionale, dal momento che la legge quadro del settore, il Testo unico del vino (Legge 238/2016) non contempla il vino senz’alcol e occorre individuare soluzioni normative per consentire alle cantine italiane la dealcolazione del prodotto.
Ma prima di vedere come, ricordiamo quali sono le posizioni degli attori del mondo del vino in merito alla questione.
Vino dealcolato: favorevoli e contrari
Da una parte, infatti, Unione Italiana Vini si era detta favorevole all’introduzione sul mercato di vino dealcolato; ricordiamo le parole di Paolo Castelletti, segretario generale della UIV “è importante che queste nuove categorie di prodotti dealcolizzati rimangano all’interno della famiglia dei prodotti vitivinicoli, per evitare che possano divenire business di altre industrie estranee al mondo vino e che dunque siano le imprese italiane a rispondere alle richieste di mercato, specialmente di alcuni Paesi asiatici”.
Dello stesso avviso anche l’ex Ministro Patuanelli, che si era apertamente schierato a favore, proprio per questioni commerciali.
Contraria, invece, Coldiretti. “In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino”.
Ma chi sceglie i vini senza alcol?
Si calcola che il 70% della popolazione mondiale non consumi bevande contenenti alcol, per motivi legislativi, tradizionali o, soprattutto religiosi.
Offrire vini senza alcol potrebbe aprire nuovi mercati e puntare ai giovanissimi.
“Negli Usa – afferma Unione italiana Vini – il consumo di prodotti Better for you (ovvero con meno alcol, meno calorie, meno zuccheri, vegan) è quintuplicato con un balzo nel fatturato complessivo da 22 a 113 miliardi di dollari. Nell’ultimo biennio i vini con gradazione inferiore ai 10 gradi sono cresciuti del 25%, mentre quelli del tutto privi sono aumentati del 65%”. Le previsioni dell’ Iwsr parlano chiaro: in dieci mercati chiave i vini no/low alcohol cresceranno in media dell’8% l’anno con un raddoppio dei volumi entro il 2025″.
Le ultime dichiarazioni del sottosegretario all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste Luigi D’Eramo
Netta la presa del sottosegretario all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste Luigi D’Eramo in un’ interrogazione a risposta immediata in Commissione Agricoltura alla Camera: “Il ministero è da tempo impegnato nell’ elaborazione di una disciplina chiara ed efficace sulla produzione e la commercializzazione dei vini dealcolati e parzialmente dealcolati…sono stati costituiti due gruppi di lavoro per individuare quali modifiche introdurre alla vigente normativa di settore per consentire agli operatori interessati di disporre di norme coerenti e comuni. Al termine di tale fondamentale fase di confronto saranno definite le inizative più opportune da intraprendere per valorizzare al meglio una filiera produttiva di grande importanza per il Made in Italy, e non solo del comparto agroalimentare”.
In sostanza, sottolinea il sottosegretario: “Non siamo contrari alla bevanda, ma alla attribuzione ad essa della denominazione di vino”.