Nonostante la guerra, in Russia cresce il consumo di vino italiano

Nonostante l’assenza di buyer russi tra gli operatori presenti a Vinitaly 2023, le esportazioni di vino italiano verso il Paese non sembrano aver subito cali considerevoli. Anzi, nonostante il conflitto, in Russia cresce il consumo di vino italiano. I dati Istat parlano di un 16% a valore (per un totale di 172 milioni di euro) nel 2022. Un dato positivo rispetto a quello dell’anno precedente, ancora segnato dagli strascichi del periodo pandemico.

Come spiegato dall’esperto Edoardo Freddi in una recente nota pubblicata da Federvini, la guerra non ha frenato l’esportazione e il commercio dei vini italiani nella Federazione. Tuttalpiù ne ha modificato i consumi, a causa dell’inflazione che ha ridotto il potere d’acquisto dei cittadini. In aggiunta a ciò, una grossa fetta di consumatori appartenenti alla fascia di spesa medio-alta ha abbandonato il Paese a causa della guerra, eclissando il mercato dei fine wine e dei super premium.

A causa delle restrizioni imposte dall’UE, cresce il segmento entry level

A febbraio 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Unione Europea aveva imposto il divieto d’importare vini o liquori pregiati dal valore superiore ai 300 euro a bottiglia verso Mosca. Questa decisione ha fatto sì che molti vini pregiati – che comunque rappresentavano meno dell’1% del mercato dei fine wines tra UE e la Federazione – siano diventati inaccessibili per i cittadini russi.

L’immediata reazione dei rivenditori è stata quella di concentrarsi sulla fascia di vini entry level. “Sicuramente vini come i Super Tuscan, il Brunello, l’Amarone e il Barolo rimangono molto apprezzati dai russi, ma nell’ultimo periodo si stanno iniziando a scoprire vini italiani meno costosi come il Primitivo della Puglia, ma anche il Pinot Grigio, il Lambrusco, l’Asti, il Prosecco, il Chianti e il Montepulciano. – ha spiegato Freddi – Di recente c’è grande entusiasmo anche per il Vermentino, che lentamente sta sostituendo e prendendo il posto del Lugana. Tutti questi vini in questo momento stanno vendendo molto in Russia”.

L’inflazione spinge i consumatori verso la GDO

“Nonostante la situazione confusa, nonché tesa, le cose stanno andando meglio del previsto. C’è un leggero calo a volume ma cresciamo a valore. Quello che si registra è un posizionamento al ribasso, molto evidente. Parte della classe più abbiente, che consumava vini premium, probabilmente è uscita dal Paese; a ciò si aggiunge il fatto che il potere di acquisto della classe media ovviamente è un po’ diminuito” prosegue Freddi. Gli ultimi dati, infatti, parlano di un tasso di inflazione che si aggira intorno al 7%.

Boom per i wine bar

Nonostante la diminuzione del potere d’acquisto, la situazione a Mosca sembra apparentemente normale. Tra i luoghi prediletti per il consumo di vino ci sono i wine bar, sempre più diffusi nel territorio della Federazione.

Se i canali di vendita online segnano un meno, spopolano invece le catene di negozi specializzate nella vendita di vini e spirits, che riescono a garantire un’ampia offerta tra referenze entry level e premium.

A ciò si aggiunge il segmento dell’on-trade, rappresentato da hotel e ristoranti.

Per contrastare i problemi relativi alle consegne e ai costi elevati, oltre che la paura di sanzioni a causa del conflitto in corso, distributori e retailer di vino russi hanno cercato alternative.

Edoardo Freddi, alla guida di Edoardo Freddi International (EFI), intervistato da Federvini

Tra le iniziative messe in atto ci sono molte promozioni dei vini delle Ex Repubbliche Sovietiche in Russia perché sono più facili da importare. Nonostante ciò, il consumatore russo continua ad essere interessato ed attratto dei vini italiani di qualità. Non a caso i vini italiani sono ancora i più venduti in Russia, seguiti da quelli georgiani che sono riusciti a scalzare i vini spagnoli, ora al terzo posto.

Come vanno le esportazioni degli altri Paesi

Gli attuali competitor dei vini italiani sono i prodotti provenienti dalle ex Repubbliche Sovietiche: Armenia, Georgia, Crimea, che sono attualmente il bacino di utenza principale per il mercato russo. stavolta non deriva dal nemico di sempre, quanto dai prodotti delle Ex Repubbliche Sovietiche.

A causa delle restrizioni la Francia ha perso una quota di mercato importante nel Paese, complice anche l’attacco mediatico russo nei confronti dello Champagne. L’Australia, invece, ha mantenuto buoni rapporti commerciali con la Russia, relativamente al vino, dopo aver riversato le sue esportazioni sul Paese, a causa dei dazi imposti dal governo cinese nel 2021.

È giusto continuare a commerciale con la Russia?

Nell’ultimo anno, molti si sono chiesti se sia giusto continuare a fare affari con un Paese che ne ha invaso un altro. “Ci siamo interrogati molto in questi mesi su questo aspetto: staremo facendo una cosa corretta? – spiega Freddi – Siamo giunti alla conclusione che comunque non stiamo vendendo prodotti pericolosi, da usare per scopi bellici, non vendiamo armi, né componenti per produrle. In più, non ci rivolgiamo nemmeno all’upper class o all’élite. Stiamo vendendo un prodotto per la massa, per il popolo”.

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