Resistenti alla riscossa: Nicola Biasi e la nuova normativa europea

La nuova normativa europea ammette le varietà resistenti nei vini a denominazione: ne parliamo con Nicola Biasi che, da anni, crede nel potenziale di questi vitigni

La legge del 6 dicembre segna una svolta epocale nel panorama vitivinicolo. Non pensi?

Penso chiaramente di si. Finalmente abbiamo sdoganato l’idea che i vitigni resistenti non possano dare origine a vini di assoluta qualità. Grazie ai prodotti di ottima qualità che oggi si possono trovare sul mercato, l’Unione Europea ha autorizzato il loro utilizzo anche all’interno delle DOC. 

Per raggiungere questo obiettivo è servito molto lavoro da parte di enologi e produttori. Ogni vitigno resistente, come d’altronde quelli classici, ha determinate specificità e caratteristiche. Per ottenere grandi vini vanno piantati nel territorio giusto, coltivati nel modo giusto, e vinificati con un’enologia specifica.

Alcuni di questi punti in passato sono stati trascurati ottenendo così vini di non grande livello. Non era però un limite varietale, ma piuttosto un errore dei produttori. Ci vuole, come sempre, conoscenza e professionalità.

Adesso che succede?

Finalmente con la legge del 6 dicembre siamo di fronte ad una svolta epocale, che però è solo un primo punto di partenza.

L’ Europa ha dichiarato che ora i vitigni resistenti possono essere inseriti nei vini a denominazione. A questo punto è necessario recepire a livello nazionale il regolamento. Poi le regioni dovranno autorizzare e, infine, raccomandare tali vitigni.

Ad oggi in Italia solo Friuli-Venezia-Giulia, Trentino Alto Adige, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Marche e Abruzzo che accettano le varietà resistenti: queste regioni saranno le prime in cui si potranno cambiare i disciplinari, inserendo inizialmente e probabilmente un massimo del 15% di vitigni resistenti.

Solo in seguito si potrà utilizzare in purezza un vitigno resistente per produrre un vino Doc. I tempi non sono immediati ovviamente; se non ci sono intoppi per avere un prodotto in purezza si parla di uve vendemmiate nel 2026 che probabilmente andranno in commercio nel 2027. 

Nelle altre regioni, ovvero quelle in cui ancora le varietà resistenti non sono accettate, occorre un doppio passaggio: l’autorizzazione dei singoli vitigni a livello regionale e l’eventuale inserimento nelle DOC. 

Alcune regioni importanti tra cui il Piemonte sono ormai vicinissime all’inserimento di questi vitigni. Non tutte le regioni italiane sentono allo stesso modo la necessità di aprirsi a questa innovazione. Queste varietà che permettono di ridurre drasticamente il numero di trattamenti antiparassitari  sono per evidenti ragioni metereologiche più interessanti nelle regioni piovose che in quelle siccitose, come ad esempio quelle del sud Italia. 

Ma la scelta non è stata un po’ obbligata da un climate change galoppante?

Certamente sì. Dobbiamo fare di necessità virtù. L’apertura dell’UE ai tigini resistenti rappresenta allo stesso modo un’apertura a nuove varietà in senso lato.  Il mondo vitivinicolo è innegabile che debba lavorare su varietà nuove che si adattino al clima di oggi. Varietà con un cilo vegetativo molto breve e con epoche di maturazione precoci sono alle nostre latitudini ormai anacronistiche dobbiamo lavorare a nuovi cloni ad esempio di pinot nero e chardonnay che ci permettano di continuare a fare vini di qualità, cosa ormai difficile nelle zone più calde. A questo punto avrebbe molto senso che questi nuovi cloni siano anche resistenti alle malattie fungine. 

Quello che funzionava 50 anni fa oggi va rivisto. La tradizione va bene, ma non deve diventare un vincolo. Questo non è un punto di arrivo, ma di partenza.

Secondo te quali sono le regioni che, a livello ideologico, non sono pronte?

Ho paura che una di queste sia proprio la Toscana. Spero di sbagliarmi: molto è dovuto alla grande tradizione enoica che le appartiene. L’altro punto è il clima di questa regione, sole e scarse precipitazioni permettono di fare pochi trattamenti anche con le varietà classiche, naturale quindi che il viticoltore si ponga meno il problema di ridurli. 

Non sarebbe bello però passare da 7/8 trattamenti a 1 o 2 l’anno?

Attualmente quanti ettari sono destinati a vitigni resistenti?

Ad oggi questa cosa non è mai stata dimostrata. I primi vigneti sperimentali piantati in Alto Adige hanno ormai più di 20 anni e sono ancora perfettamente resistenti alle malattie. Non capisco quindi su che base si possa affermare una cosa del genere. Si dice anche, anzi si diceva, che dai vitigni resistenti non si potessero fare vini di qualità, mi sembra che anche questo preconcetto sia stato ampiamente screditato con i grandi giudizi che la stampa specializzata e le guide stanno assegnando ad alcuni da questi vini. 

Quest’ anno per la prima volta, un vino da vitigni resistenti è entrato a far parte dei migliori 25 vini italiani selezionati dal Merano Wine Festival con l’ambito premio Wine Hunter Platinum Award.

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