Langhe e Monferrato, oneri e onori dell’Unesco

A tre anni dal riconoscimento come patrimonio dell’umanità, arrivano le prime limitazioni per lo sviluppo e l’ampliamento delle attività vitivinicole. E il mondo del Barolo si divide

Nel 2014 l’Unesco riconobbe, come patrimonio dell’umanità, il paesaggio di Langhe Roero e Monferrato, territorio dal quale nasce uno dei vini più famosi e apprezzati di tutta Italia, il Barolo. L’evento, accolto con grande entusiasmo, è stato foriero di un grande aumento dei flussi turistici ed economici. Ma dopo tre anni, l’Unesco presenta il conto alle terre del Barolo.

Accanto ai vantaggi, il far parte di un sito patrimonio dell’umanità impone vincoli e restrizioni molto stringenti, per la tutela del paesaggio. Una realtà con la quale i produttori si sono confrontati a seguito del piano regolatore presentato dal sindaco di La Morra, Marialuisa Ascheri, che ha come cardine l’adeguamento alle linea guida dettate dall’Unesco dei paesaggi vitivinicoli, e la coesistenza con le attività locali. Questo prevede una riqualifica delle strutture presenti, e un’attenzione nella crescita delle imprese, per mantenere inalterato lo status del paesaggio. Posizioni che hanno diviso il mondo produttivo del Barolo.

Un’esperienza simile si è già avuta in passato con il Brunello, quando Montalcino, insieme a tutta la Val d’Orcia , divenne nel 2004 sito Unesco. Questo ha comportato una “cristallizzazione” del paesaggio, tanto che la Val d’Orcia ha mantenuto un aspetto molto bucolico e agreste, in virtù dei paletti introdotti dall’Unesco. Le terre del Barolo hanno visto in questi ultimi anni un incremento significativo della ricchezza, grazie al lavoro delle aziende che sono cresciute molto, e che ora dovranno seguire dei parametri di ampliamento molto più restrittivi e sostenibili per il paesaggio, se non, in certi casi, vere e proprie limitazioni nell’ingrandirsi.

Una linea apprezzata da produttori come Giuseppe Rinaldi e Bruno Ceretto, i quali ribadiscono l’importanza di una riqualificazione delle molte strutture dismesse. Infatti non è di alcun vantaggio abbattere filari per costruire nuove cantine o spazi per il deposito dei macchinari, visto che sono stati proprio i vitigni del Barolo a fare la fortuna di questa terra. Tuttavia entrambi mettono in guardia dai rischi di uno sviluppo eccessivo della monocoltura. In questi anni il vino ha fagocitato altre produzioni storiche delle Langhe e del Monferrato, come i noccioleti e i frutteti. La monocoltura è infatti pericolo sia dal punto di vista economico, perché lega il ciclo produttivo unicamente ad un’unica fonte di reddito, ma anche dal punto di vista paesaggistico e biologico.

Di diverso avviso sono Ernesto Abbona, a capo della Marchesi di Barolo, e Paolo Damilano, dell’omonima griffe, i quali ritengono eccessivo impedire alle aziende di ampliarsi. Naturalmente vanno rispettati i vinicolo imposti dall’Unesco, e indirizzare lo sviluppo del tessuto produttivo verso un crescita sostenibile, in armonia del paesaggio. Ma questo non deve tradursi in disposizioni ostili a quelle attività che hanno fatto la fortuna di queste terre.

Related Posts

Ultimi Articoli