Distillazione di crisi: che ci facciamo con tutto questo vino?

L’ipotesi della distillazione di crisi anche in Italia diventa concreta. Ma servirebbe ridurre la produzione in modo strutturale. Sul piatto anche il tema vini dealcolati 

Il mondo del vino italiano si sta interrogando su come gestire l’eccesso di giacenze in cantina. I numeri sono sempre più alti (anche ad aprile 56,6 milioni di ettolitri, +5% rispetto allo stesso periodo del 2022), specialmente se ci proiettiamo sulla prossima vendemmia.

Mentre Francia (2,5 milioni di ettolitri ) e Spagna (3) hanno già deciso di ricorrere alla distillazione di crisi, il nostro Paese riflette, con i suoi tempi proverbialmente lunghi. Perché il problema, come sempre, sta nelle risorse (quante e quali) e chi ce li mette (il Masaf? Le Regioni?).

Distillazione di crisi in Italia: la posizione di Unione Italiana Vini

Proprio sul tema chiave celle risorse da stanziare, Unione Italiana Vini si dice contraria “alla distrazione, in favore della distillazione di crisi, di fondi già impegnati per la promozione e gli investimenti.

Pur riconoscendo, e avendo ampiamente previsto, il particolare momento di difficoltà per il settore, Uiv ritiene che la misura tampone non possa penalizzare il settore drenando fondi strategici per la sua crescita. Qualora si rendesse necessaria in alcune aree del Paese, la misura della distillazione dovrebbe invece poter contare su fondi regionali stanziati ad hoc”.

Da parte di chi? A spingere in questa direzione sembrano propense come la Puglia, il Lazio, l’Abruzzo, la Campania e forse il Piemonte. Ma va detto che la campagna precedente, ovvero nel 2020 in piena pandemia, fu un sostanziale flop. E poi va aggiunto, che un’eventuale misura di crisi potrebbe risolvere solo temporaneamente crepe strutturali che Uiv ha già evidenziato sul sistema. 

“Il tavolo convocato lo scorso 10 maggio dal Ministero – spiega Uiv in una nota – sarebbe utile per affrontare con occhio critico dinamiche, come la sovrapproduzione, che generano distorsioni anche in termini di remunerazione della filiera. In Italia nell’ultimo triennio gli stock in cantina sono aumentati dell’11% a fronte di produzioni stabili sul periodo; se il trend rimane attuale, complici le vendite in calo, si rischia di arrivare alla prossima vendemmia con il maggior carico di giacenze degli ultimi 20 anni”. Nuova puntata del confronto ai tavoli ministeriali fissata per giovedì 18 maggio.

Nel frattempo la strada della riduzione della produzione deve ragionare sul contemplare anche strade finora inesplorate: la frontiera dei vini dealcolati, per quanto ancora marginale (è del 3,5% il valore del segmento sul volume totale delle bevande alcoliche), prevede una crescita stimata come rapida, in virtù anche di una curiosità tra i più giovani sempre maggiore e il mercato musulmano. Ma anche in questo caso i punti di vista sono piuttosto distanti.

Paolo Castelletti

Per il segretario generale di Unione italiana vini (Uiv), Paolo Castelletti: “Il settore del vino – che vale oltre 30 miliardi di giro d’affari l’anno per quasi 900 mila addetti spesso in aree rurali defilate del Paese – sta soffrendo una condizione congiunturale difficile e non ha certo bisogno di limitare il proprio raggio d’azione regalando un nuovo business all’industria delle bevande. Per i ‘Nolo’ si prevede un tasso di crescita medio annuo dell’8% da qui al 2025 e in molti casi i principali Paesi target rappresentano già mercati di sbocco per il vino italiano: anche per questo la tipologia può rappresentare una delle soluzioni per alleviare il carico produttivo nazionale. Per fare impresa in questo segmento di mercato è quindi necessario intervenire sul vuoto normativo che, di fatto, sta causando all’Italia un ritardo competitivo di circa un anno rispetto ai produttori europei. Ad oggi il Testo unico del vino non consente infatti la detenzione in cantina di vini sotto un grado minimo alcolometrico di 8,5°, e le aziende vitivinicole italiane che vogliono iniziare la produzione dei vini dealcolati non dispongono di indicazioni da parte dell’amministrazione: siamo gli unici in Europa a non aver recepito le disposizioni Ue entrate in vigore 15 mesi fa. La proposta di Unione italiana vini – conclude Castelletti – è di armonizzare alla normativa europea il Testo Unico attraverso un emendamento del Governo, possibilmente all’interno del decreto Semplificazioni così da abbreviare i tempi”. 

Distillazione di crisi in Italia: la posizione di FIVI

Lorenzo Cesconi

“Il nostro è un parere assolutamente negativo sul fatto che i vini dealcolati possano rientrare nella categoria vino – Lorenzo Cesconi, Presidente Fivi e per Fivi è preoccupante la normativa europea di dealcolare, solo parzialmente, anche i vini a indicazione geografica (DO e IG). Il vino è espressione irripetibile di un territorio, di un clima, di una geografia specifici: è frutto di un processo naturale che l’uomo accompagna in campagna e in cantina con competenze e tecniche frutto di secoli di esperienza. Un procedimento tecnologico aggressivo come quello della dealcolazione va di fatto a snaturare il prodotto originale, rendendolo altro da ciò che era. Fare rientrare due prodotti così differenti nella medesima categoria rischia dunque di creare una sovrapposizione pericolosa, togliendo al vino il suo valore, in termini sia economici che culturali. Includere non solo i vini varietali, ma anche quelli a indicazione geografica tra quelli possibili di dealcolazione, può minare la stabilità dei sistemi dei vini di qualità e più in generale dell’intero sistema vitivinicolo”. 

(Giovanni Pellicci)

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