Comunicazione, brand identity, pubblicità: cosa deve e non deve fare una cantina

“L’essenza della strategia è scegliere cosa non fare”: Valentina Falcinelli, direttore creativo di Pennamontata, ci racconta come si crea la brand identity di una cantina, come la si fa crescere e come si consolida un brand già esistente

Logotipo, brand identity, brand relevance e brand personality sono fondamentali per qualunque azienda, figuriamoci per una cantina appena fondata o per una che cerca di distinguersi nel mare magnum del mondo vitivinicolo.

Ne parliamo con Valentina Falcinelli, Direttore creativo di Pennamontata, copywriter e formatrice, Valentina si occupa di scrittura e creazione dell’immagine in tutte le declinazioni possibili. Lavora con piccoli e grandi brand per aiutarli a trovare la propria personalità attraverso le parole.

Partiamo dalla creazione del logo di una cantina: quali consigli per chi desidera costruirlo ex novo e quali per chi desidera cambiare qualcosa?

“La creazione del logo, e più in generale della visual identity del brand di una cantina segue delle regole che valgono sempre. Per costruire il proprio logotipo da zero, bisogna fare uno studio accurato del mercato (brand già presenti, consumatori, Paesi di riferimento…) e, da lì, definire il posizionamento e l’essenza della marca (valori, brand personality, mission, vision…).
Il logo, infatti, non è un mero orpello ma deve essere progettato per comunicare in modo forte e distintivo l’identità del nuovo brand.
Allo stesso modo, la necessità di un restyling deve essere valutata attentamente, ponendosi domande senza le cui risposte è sconsigliabile procedere:

  • Voglio cambiare il logo per sfizio o perché ho reali necessità (es. logo anacronistico)?
  • Ho bisogno solo di una “rinfrescata al make-up” o di un “intervento estetico” importante
  • Cosa manterrò del vecchio logo?
  • Il nuovo logo soppianterà del tutto il vecchio o sarà una sua evoluzione?
  • Oltre al logo, cambierà anche la visual identity (es. font, colori…)?

Spesso i manager decidono di cambiare il logo solo per seguire delle mode, o perché si sono stancati di quell’immagine.

Un logo non si cambia perché si vuole; perché ci si sveglia un giorno e si decide che non ci piace più. Si cambia quando serve, se serve, seguendo una chiara strategia di restyling e, all’occorrenza, di rebranding. In ogni caso, sempre meglio chiedere il supporto di uno studio di branding: avremo così la certezza di compiere scelte ponderate e di valore per il nostro brand, e di evitare azioni controproducenti.

L’esperto di marketing ed economista Michael Porter una volta ha detto una frase che mi si è stampata in mente: “L’essenza della strategia è scegliere cosa non fare”. Con il mio deep branding studio, Pennamontata, ci occupiamo proprio di brand management, e seguiamo tre step – diagnosi, strategia, tattiche, rigorosamente in quest’ordine – per far sì che non solo il logo, ma tutta l’identità del brand sia davvero, ma davvero efficace.

Dopo tutte queste parole, sono certa abbiate capito che un logo non si fa, e non si rifà, a naso. Di pancia. Ma voglio comunque lasciarvi dei consigli per sapere se si ha tra le mani, anzi sotto gli occhi, un logo funzionale. Un buon logo dovrebbe essere:

  •  semplice, ovvero essenziale, pulito senza troppi elementi (es. logo Nike);
  • distintivo, ovvero subito unico, riconoscibile e memorabile;
  • senza tempo, ovvero dovrebbe vincere le mode del momento e resister loro;
  • versatile, ovvero facilmente usabile in più contesti (on e offline), anche in veste di pattern o favicon, per esempio;
  • rilevante, ovvero dovrebbe essere in grado di esprimere, in modo forte e originale, l’essenza del brand”.

Il mondo del vino è a dir poco sterminato: è davvero possibile distinguersi e se sì, come? È preferibile per una cantina inquadrare alcuni ambiti specifici o puntare sulla brand identity in generale?

“Prezzo e qualità sono due leve che non permettono di “vincere”. Non più. Da un lato, infatti, abbassare il prezzo rischia di far percepire il prodotto come scadente — diversa la scelta contraria di alzarlo, per posizionarsi come premium brand; dall’altro la qualità è una caratteristica che viene data per scontata ormai da chiunque. Lavorare sul brand, e sulla brand image e sulla brand identity diventa, per una cantina, una scelta obbligata.

Oggi i brand che riescono a emergere sono quelli che lavorano seguendo una strategia di branding studiata con cura, coerente, diversa. Una strategia capace di creare una narrazione di marca solida, duratura, di valore. E come si fa a costruire qualcosa del genere? Si parte dalle fondamenta, dalla strategia per l’appunto. C’è chi, sbagliando, riduce tutto il piano a mera tattificazione, ovvero parte dalla fine, dalle tattiche, anziché da ciò che dovrebbe guidare le tattiche stesse. Si parte dal progetto, dagli obiettivi, dall’analisi: tutto deve spingere nella stessa direzione per portare il brand in alto.

In questo particolare momento storico, i brand devono essere in grado di ascoltare quello che vogliono davvero le persone. Quello che cercano, quello che si aspettano dalle marche. Ciò che muove di più il pubblico oggi è una forte risonanza. Scegliamo ciò che ci rappresenta, ciò in cui ci riconosciamo, ciò che dice qualcosa di noi al mondo, ciò che ha qualcosa in comune con noi (un pezzetto di storia, valori, visione). Scegliamo i brand che sanno raccontare delle storie profonde e autentiche. Scegliamo brand che ci sanno far emozionare. Brand che comunicano in modo coerente e consistente, tanto online quanto offline. Generalizzando, possiamo dire che portiamo a tavola un vino che sappia colpire gli ospiti per l’eleganza della confezione – dalla forma della bottiglia, al design dell’etichetta; acquistiamo un vino che ci regali un momento solo per noi, che ci delizi, che ci inebri con un sorso di meraviglia; scegliamo un vino perché sui social abbiamo visto una narrazione che sembra parlare proprio a noi e che ci fa allungare la mano e prendere proprio quella bottiglia dallo scaffale. Poi, certo, c’è anche la componente WOM (word of mouth, ovvero passaparola) o endorsement di esperti (vedi enologo/a, sommelier, addetto/a al reparto…). Ma anche questi possono nascere grazie a un’efficace strategie di branding e narrazione di marca”.

Esiste in Italia un caso di brand relevance nel mondo del vino che può essere esempio per gli altri?

“Posso menzionare un esempio di brand relevance nel mondo dei distillati. Un caso virtuoso, a mio avviso, è rappresentato da Nonino, storica marca di grappa a conduzione famigliare.
Nonino ha adottato un particolare tipo di narrazione, che prevede la messa in luce delle persone chiave. Per capire di che parlo basta dare un’occhiata alla pagina di Francesca Bardelli Nonino, l’influencer della grappa e al mix tra tradizione e freschezza, espresso magistralmente dall’approccio adottato sui social, come i reel narrativi e genuini.

I valori portanti di Nonino non sono mai stati traditi: la qualità del prodotto e della lavorazione artigianale vengono magnificati da sempre, e sostenuti anche da iniziative come il Premio Nonino, nato per preservare la biodiversità del territorio.

Cosa possiamo imparare da Nonino?
1. I valori possono diventare un asset portante della comunicazione aziendale. Identifichiamoli e usiamoli sempre, in modo coerente e consistente.
2. I tempi cambiano, i media danno spazio a nuovi registri narrativi. Cerchiamo il nostro registro e usiamolo sempre, in modo coerente e consistente.
3. Identifichiamo dei brand ambassador interni/e, che possano spingere verso l’esterno i valori della marca. Gli stakeholder all’interno dell’azienda sono il vero motore promozionale – e non solo”.

Una cantina perde credibilità per un grave errore commesso con il cliente. Come si riabilita un brand? Si parte dall’errore o si spera nell’oblio?

“Quando si commette un errore, perdipiù intenzionale, non è detto che ci si possa riabilitare. Ma se vogliamo avere una possibilità di redenzione, questa deve passare sempre da scuse sincere e autentiche. Possibilmente del titolare della cantina o comunque della persona che più la rappresenta.

Vanno seguiti degli step chiari: comunicato stampa ufficiale, ufficio stampa che cerca di entrare in contatto con più testate possibili, piani social che fanno rimbalzare il CS, video di scuse della key person aziendale. Non è tutto. Alle scuse, poi, devono seguire delle azioni concrete. Azioni che devono essere messe in atto nel minor tempo possibile (es. comitato di controllo qualità esterno all’azienda, nel caso della sofisticazione del Brunello). Col tempo, la perseveranza, la sincerità e la pazienza si può sperare di cancellare i brutti ricordi che un nostro grave errore può aver lasciato nella mente dei consumatori. Sperare che l’oblio arrivi senza far niente per redimersi è quantomeno da illusi. Niente arriva con niente. E i consumatori sono tremendi: difficilmente perdonano o dimenticano”.

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