Il vitigno Camaiola e la ricca biodiversità del “Vigneto Sannio”

Focus sul vitigno Camaiola che, a partire dallo scorso primo luglio, è stato iscritto al Registro nazionale delle varietà di viti. Un prodotto tipico del territorio sannita, a lungo confuso con il Barbera Piemontese…

Non solo aglianico e falanghina. Il Sannio, territorio in cui la vite segna la storia e rappresenta l’essenza e la ricchezza di intere comunità, è un variegato paesaggio che si declina con un ricco giacimento di biodiversità viticola. Negli oltre diecimila ettari vitati, la cui produzione supera il milione di ettolitri (numeri che assegnano alla provincia beneventana la leadership nel comparto vitivinicolo della Campania), continua ad allevarsi un variegato paniere di vitigni storici: sommarello, piedirosso, sciascinoso, agostinella, cerreto, coda di volpe, grieco, malvasia, fiano e, ancora, passolara di San Bartolomeo, olivella, carminiello, palombina, moscato di Baselice. 

Sono questi solo alcuni esempi del generoso patrimonio viticolo sannita che, a partire dallo scorso 1 luglio, ha visto iscritto al Registro nazionale delle varietà di viti una varietà coltivata esclusivamente in una piccola porzione della terra sannita: la camaiola.

Vitigno Camaiola: caratteristiche

Parliamo di un vitigno a bacca rossa adottato soprattutto nella Valle Telesina. Questa antica varietà per oltre un secolo è stata erroneamente accostata (nel nome) al vitigno barbera originario del Monferrato. In realtà si tratta di un’uva differente da quella piemontese. 

Il grappolo si presenta conico piramidale; l’acino è di forma ovoide, il colore della buccia è blu-nero, ricco di pruina; la polpa è non colorata, dal sapore semiaromatico. Il profilo sensoriale del vino ottenuto da uve camaiola presenta un colore rosso rubino intenso, con evidenti riflessi violacei. Olfatto ricco di frutta rossa matura, frutti del sottobosco e rosa, con accennate note vegetali. Sorso pieno, intenso, morbido, poco tannico, con finale ricco di frutta.

Oltre un secolo di confusione con il Barbera Piemontese

Il piccolo centro di Castelvenere, il “comune più vitato del Sud”, rappresenta il cuore della ragnatela dei produttori affezionati al vitigno camaiola. È qui che ebbe origine la confusione con la più nota varietà di origini piemontesi. La storia è lunga, si intreccia con l’emigrazione temporanea nel Nord America di quelli che poi diventarono i primi imbottigliatori castelveneresi. Questi conobbero Oltreoceano la grande notorietà del Barbera, allora il vino più famoso al mondo e più imitato e “falsificato” nel nome. I vignaioli castelveneresi, dovendo distinguersi, decisero di chiamare il loro vino rosso Barbera, cancellando i nomi di tutte quelle uve con cui quel vino era prodotto, tra cui la camaiola.

 La vicenda si intreccia con un’altra curiosità che contraddistingue Castelvenere, che in quegli anni viveva la fase più frenetica dell’attivismo di una cellula valdese nata nel 1877. Questa presenza valdese ha forse inciso sul nome dei vitigno, considerato che Camaiola è un termine di cui non si trova traccia negli antichi vocaboli dialettali sanniti. Viceversa, in più opere di lingua francese che affondano le radici nella lingua occitana-provenzale (la lingua ufficiale dei valdesi), alla voce “camaia” leggiamo: «Noircir, barbouller de noir, tacher. La vìgne se camaia; le raisin commence à tourner». Nome, dunque, che ben identifica una varietà capace di «macchiare di nero», un’uva dall’alto potere colorante, proprio come la camaiola. 

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