Il vino nell’antico Egitto tra reperti archeologici e metodi di produzione

Ai tempi dei faraoni il vino racchiudeva una simbologia importante, come testimoniano miti, testi antichi e geroglifici

Vino nell’antico Egitto, una produzione millenaria

Piramidi, sfingi, templi e geroglifici rappresentano l’immaginario collettivo dell’antica civiltà egizia, alla quale, dopo vari studi, ricerche e ritrovamenti potrebbe essere accostata anche un’anfora piena di vino come ulteriore segno di riconoscimento. Avete letto bene, parliamo di vino. L’Egitto è infatti annoverato tra i più antichi paesi produttori di vino.
Parliamo di una storia che si perde nei meandri del tempo. Basti pensare che le raccolte dell’uva sono rappresentate su rilievi e arcaiche pitture, ma anche su giare e bassorilievi. Il reperto più antico consiste alcuni semi di vitis vinifera risalenti al periodo chiamato Naqada III, datato 2900 a.C., conservati tutt’ora al Museo dell’Orto Botanico di Berlino.

Il vino del faraone

Il vino al tempo dell’antico Egitto era considerato una bevanda alcolica riservata alle classi nobili, in contrapposizione con la birra che veniva generalmente consumata dai ceti più popolari. Non a caso il prelibato nettare poteva a costare fino a cinque volte di più delle bevande di uso comune. Un lusso da faraoni, se vogliamo. Anche uno dei più famosi come Tutankhamon ne era un abituale consumatore. Lo testimoniano le trenta anfore del corredo funerario ritrovate in una cella di conservazione vicino alla sua tomba. Ventisei di queste appartengono agli anni precedenti alla sua salita al trono, mentre nove risalgono al suo regno nove contenitori. Il ritrovamento di questi reperti si è rilevato utile anche per stabilire gli anni di governo di Tutankhamon, ovvero nove come il numero delle anfore.

Etichette in geroglifico

I contenitori del vino dell’epoca erano incise con scritture ieratiche, un tipo di geroglifico in corsivo utilizzato principalmente per le pratiche quotidiane. Queste iscrizioni sulle anfore avevano la stessa funzione delle etichette odierne che possiamo trovare sulle bottiglie di vino. Vi si poteva infatti leggere il tipo di prodotto, l’anno di vendemmia, la qualità e la dolcezza, l’origine geografica, il tipo di proprietà e altre caratteristiche e dettagli. Risulta curiosa la modalità con cui veniva indicata la bontà del vino: nefer (buono), nefer nefer (più che buono), nefer nefer nefer (molto buono). Inoltre, dall’Antico Regno, sulle giare e nei Testi delle Piramidi, ricorre spesso la parola “irep”, il nome egizio dato al vino. Una vera e propria bevanda sacra, tanto da aver un esclusivo posto di diritto nelle tombe dei defunti nelle piramidi insieme a tesori e oggetti personali.

Il vino nella mitologia egizia

Il vino nell’antico Egitto rappresentava un segno di pacificazione. In alcune pitture faraoni e regine sono rappresentati nell’atto di donare coppe di vino agli dei per sancire così la pace tra il mondo degli umani e quello divino. Secondo un mito antico il dio Ra era intenzionato ad annientare l’intera umanità dopo aver appreso che era stata ordita una congiura contro di lui da parte degli uomini. Trasformò quindi sua figlia Hathor nella leonessa Sekhmet inviata sulla terra per sbranare più persone possibili. Ad un certo momento Ra si pente della sua decisione, e ordina di colorare di rosso una grande quantità di birra da far bere alla famelica belva. Quest’ultima scambia la bevanda per del sangue e beve fino ad ubriacarsi, dimenticando il fine principale della missione e rendere così fattibile la pace tra uomini e dei.
In merito a questa leggenda la studiosa Guasch-Jané ha spiegato che gli egizi riconoscevano un legame tra il colore rosso del vino e il sangue di Osiride, il dio degli inferi e dell’aldilà. Per questo motivo nella cultura egizia l’uva e il vino simboleggiavano la rigenerazione e la rinascita.

Metodi di produzione del vino nell’antico Egitto

La viticultura era un’attività molto comune nella fertile terra bagnata dal Nilo. La raccolta dell’uva e la coltivazione della vite si svolgevano soprattutto nei pressi del delta del fiume e nelle oasi.
La coltivazione a pergola era quella più diffusa. I contadini raccoglievano l’uva intonando canti dedicati alla Dea del raccolto per andare a depositarla in grandi tini di pietra, legno o argilla. Con i piedi si svolgeva successivamente la pigiatura. Le anfore venivano poi predisposte per la fermentazione, con tanto di chiusura ermetica. Le anfore disponevano di due manici sulla parte superiore e il fondo a punta per sistemarle in seguito all’interno di una cassa di sabbia. Questo perché Il raffreddamento dell’acqua nella sabbia umida porta all’evaporazione e al raffreddamento del vino stesso per una fermentazione che rendeva sempre migliore il sapore del vino.
Le antiche testimonianze pittoriche indicano che il principale tipo di vino prodotto era il rosso, che talvolta poteva essere addolcito con spezie o miele. Esistono anche dei reperti che testimoniano anche la produzione di vino bianco, di vino dolce, chiamato “shedeh”, e anche mescolati.

Non solo vino

All’epoca venivano consumate anche altre bevande alcoliche simili, come il vino di datteri, quello di melagrana e di palma, quest’ultimo utilizzato anche nei processi di mummificazione.
In età greco-romana uno dei vini più celebri era il Mareotico, bianco e dolce, prodotto sulle rive del Mareotide, lago salmastro a sud di Alessandria nella parte occidentale del Delta del Nilo. Questo nettare era molto amato dalla regina Cleopatra, come testimoniato dal poeta latino Orazio nelle sue Odi: “…il suo delirio, ovvero quello della sovrana, che il vino mareotico acuiva…”. Un altro aneddoto questo che ci conferma come, dai tempi dell’Antico Regno fino alla conquista dei Romani, quanto fosse consumato il vino in Egitto negli ambienti regali, conservando sempre tutta la sua divina simbolicità.

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