Gli antichi greci sono stati i primi grandi produttori di vino di tutta l’area del Mediterraneo. La bevanda ricopriva un ruolo importante nella società dell’epoca
Vino e antica Grecia: la conquista del Mediterraneo
L’antica Grecia rappresenta un contesto storico fondamentale per lo sviluppo del vino e della sua produzione nei secoli avvenire fino ai giorni nostri in tutta l’area mediterranea. Furono infatti i Greci a portare la coltivazione della vite anche nella penisola iberica e in quella Italiana verso il 730-720 a.C.
Stiamo parlando di quelle che, all’epoca, erano le colonie della Magna Grecia, come le regioni continentali del sud Italia e della Sicilia. La produzione andò poi ad estendersi fino alla aree centrali del nostro Paese. E come ai giorni nostri anche all’epoca esistevano varie qualità e tipologie di vino, da quelli più comuni, che costavano poco e reperibili nelle osterie, a quelli pregiati, prodotti in quantità limitate e consumate perlopiù alle tavole degli aristocratici.
Il vino nell’antica Grecia: metodi di produzione e conservazione
Per gli antichi greci il vino, pur essendo molto diverso da quello dei giorni nostri, era una bevanda sacra. Prima del 1600 a.C. era utilizzato per scopi rituali e religiosi. Secondo la mitologia era stato lo stesso dio del vino Dioniso a rivelare agli uomini i segreti della produzione del prelibato nettare. Fu lui ad insegnare al giovane Oreste, figlio di Agamennone re di Micene e della sua consorte Clitennestra, come coltivare la vite per ottenere il vino.
All’epoca vi erano vini dolci ottenuti da uve passite. La loro dolcezza si scaturiva dall’ebollizione del vino che ne riduceva la quantità d’acqua. I produttori del tempo ottenevano altre tipologie di nettare dalla spremitura di uve acerbe, nonostante le bevande risultassero parecchio acide. Per ottimizzare la fermentazione gli agricoltori usavano la resina di pino. Grazie alle qualità conservatrici di questa sostanza naturale viene prodotto tutt’oggi uno dei vini greci più famosi, ovvero il “Retsina”. La tecnica della fermentazione nei tini era poco sviluppata a quel tempo, e l’uso di mescolare varie sostanze e aromi, come timo menta cannella e miele, risultava il metodo più gettonato. Il vino da consumare sul momento era contenuto in otri di pelle e in piccole giare, mentre quello da far invecchiare restava in grandi anfore di terracotta. La pece spalmata all’interno le rendeva impermeabili.
I Greci annacquavano spesso il vino per non offuscare le menti e mantenere così il pieno controllo delle facoltà intellettive. Questo metodo risultava utile anche per alleviare la sensazione di caldo, poiché si andava a mescolare la bevanda con l’acqua fresca di sorgente. Le orge dionisiache, ovvero le feste in onore del dio del vino, rappresentavano invece uno dei casi in cui i bevitori consumavano il nettare puro.
La vendemmia raccontata da Omero e la vite sullo scudo di Achille
Il poeta e cantore greco Omero nelle sue opere fa capire come i greci ad ogni pasto bevessero tanto vino, il quale rappresentava un simbolo di prestigio sociale. E secondo quanto testimoniato dall’autore dell’Iliade e dell’Odissea, da metà settembre sia uomini che donne si dedicavano alla vendemmia. E successivamente, utilizzando conche di legno d’acacia o in muratura come depositi, passavano alla pigiatura.
Secondo il poeta Esiodo invece, la vendemmia partiva ad inizio di ottobre e l’uva, prima di essere pigiata, veniva esposta al sole per aumentarne la componente zuccherina e diminuirne l’umidità.
L’epiteto “ricco di grappoli” compare nella descrizione dello scudo dell’eroe e condottiero acheo Achille, forgiato dal dio del fuoco Efesto, sul quale era infatti raffigurata una vite. Nell’antica Grecia il vino non rappresentava soltanto una bevanda con cui dissetarsi e fare festa. Anzi, il suo consumo era visto come segno di civiltà, contrapposto all’usanza di bere birra tipica del mondo barbaro.
La bevanda racchiudeva anche un significato religioso, poiché l’ebbrezza generata avrebbe permesso alle persone di entrare in contatto con le divinità. E secondo alcuni intellettuali e filosofi dell’epoca il prelibato nettare poteva rivelare le verità più recondite di ogni persona. Sarà infatti il poeta Alceo a formulare nei suoi versi la famosa frase, poi tradotta in latino “in vino veritas”, e descrivere il vino “come un dono d’oblio” per dimenticare ogni pena.
Il consumo del vino nell’Antica Grecia: il simposio
Il consumo della bevanda avveniva anche in momenti di dimensione comunitaria, come feste religiose, familiari e matrimoni. Tale tipo di evento prendeva il nome di simposio. Per le occasione si recitavano poesie, si ascoltava musica oppure si assisteva a degli spettacoli di intrattenimento. In alternativa i commensali si ritrovavano per discorrere di argomenti politici, amorosi e filosofici sempre condividendo del buon vino. Il celebre filoso greco Platone, che al simposio ha intitolato anche uno dei suoi Dialoghi, narra di come, dopo il pasto, i commensali si passassero tra di loro una coppa di vino non annacquato per berne un sorso e brindare. Un rituale prevedeva il lavaggio delle mani e l’utilizzo di profumi e corone di fiori sul capo, di mirto o di edera, la pianta sacra a Dioniso, che adornava anche le coppe per bere. Il vino che invece veniva versato fuori dalle coppe, era offerto anche al re degli dei, ovvero Zeus. La consumazione della bevanda rappresentava così un momento mistico e spirituale, ma allo stesso tempo rappresentava anche un elemento comunitario e sociale di dialogo e ascolto con gli altri commensali.