ChatGPT per lo storytelling delle cantine

Classe ‘79, Marco Andreani si è laureato in Lettere Moderne all’Università Cattolica del Sacro Cuore; qualche anno dopo ha concluso un Master in Turismo e Valorizzazione dei Beni Culturali. Si occupa di comunicazione e marketing digitale per le aziende e insegna copywriting alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia. Andreani è anche assaggiatore Onav dal 2007 ed esperto assaggiatore dal 2011. Nel 2016 fonda il blog “Winedigitalmarketing”,all’interno del quale condivide consigli, idee e informazioni per aiutare le aziende del vino e i professionisti del settore a comunicare al meglio in rete.

Con Marco Andreani abbiamo discusso dell’utilizzo di strumenti come ChatGPT per lo storytelling delle cantine.

Che ruolo può avere nello storytelling di una cantina?

“Il ruolo, oggi, di uno strumento come ChatGPT (dico “come” perché ce ne sono e ce ne saranno altri), deve necessariamente essere visto come un supporto ad attività che è bene rimangano in capo alle aziende a livello strategico ma anche operativo. Ricordiamoci sempre che dobbiamo essere in grado di utilizzare gli strumenti digitali a nostro vantaggio, non permettere che siano loro a dettare le regole del gioco. In questo senso ChatGPT può rivelarsi un ottimo alleato in alcune attività specifiche come la revisione testi, la proposta di temi e argomenti da trattare, fino alla stesura di brevi contenuti da prendere come spunti da far propri, non da “copia incollare” senza remore. Per quanto riguarda invece un supporto diretto e realmente utile allo storytelling aziendale, sono piuttosto freddo. Credo infatti che una narrazione di marca ben fatta debba valorizzare e promuovere uno stile e una voce aziendale che non può che inseguire una propria unicità e originalità. Siamo fin troppo sommersi da contenuti piatti, banali, ridondanti, privi di personalità per permetterci di ricercare le soluzioni al di fuori delle realtà aziendali e delle persone che le compongono”.

Come può essere utilizzato per i social network?

“Alcune delle declinazioni più immediate di un utilizzo di ChatGPT riguardano l’agevolazione o lo stimolo di idee. Con ChatGPT puoi “parlare”, puoi chiedere un confronto (non arriverei a definirlo parere) su determinati temi e argomenti. Concepisco interessante uno “scambio di idee” con l’intelligenza artificiale; ho infatti personalmente testato dialoghi e conversazioni in ottica brain storming che hanno dato risultati molto validi, utili ad aprire spiragli mentali che altrimenti non avrei considerato. Chiedere a ChatGPT consigli sui temi da sviluppare, idee su come strutturare un piano editoriale, confronti su varianti di titoli, descrizioni, caption social, può rivelarsi concretamente utile, e può concorrere ad alleggerisce di molto un lavoro di ricerca, di pianificazione, di raccolta e produzione di idee e suggestioni che solitamente è percepito come gravoso e noioso da parte delle aziende del vino. Ripeto però che tutto ciò che ne deriva come output dalla piattaforma deve essere osservato con occhio critico, vagliato e soprattutto adeguato alla singola e specifica personalità aziendale. ChatGPT può anche scrivere post originali su un determinato argomento, ma saranno testi impersonali, monotoni, non tridimensionali, non vibranti, di certo non sfacciatamente umani”.

Tra i limiti indiscussi, tu parli di plastismo nel linguaggio. Ci spieghi meglio?

“La lingua di plastica è quel fenomeno che tende a replicare costrutti e formule linguistiche abusate, stanche, pronte all’uso, spesso inconsapevolmente utilizzate perché immediatamente disponibili nella nostra memoria di lettori e di scrittori. Sono i “paesaggi incontaminati”, la “splendida cornice”, l’azienda “nel cuore del territorio”, l’unione di “tradizione e innovazione” e così via, potremmo non finire mai. Il mondo del vino non è esente da questo male, anzi, molta comunicazione social, nel nome di una apparente immediatezza e semplicità narrativa, inciampa in appiattimenti di questo tipo. ChatGPT replica al meglio ciò che sa, ciò che gli è stato dato in pasto come nutrimento. In base a questo principio scrive come scrivono i più e, esattamente come capita alla maggior parte delle persone, incappa in semplificazioni e plastismi, producendo contenuti simili a mille altri già presenti e, onestamente, non necessari. Anche per questo motivo i testi prodotti vanno sempre attentamente valutati e revisionati”.

Ci sono altri limiti?

“Il sistema è intelligente e ingenuo allo stesso tempo. Certo è in evoluzione e apprendimento, e non vi sono dubbi riguardo al fatto che migliorerà la sua capacità di fornire risposte. Al momento (semplificandone di molto la complessità) inanella probabilisticamente una successione di termini in grado di fornire una risposta statisticamente adeguata, dove per adeguata intendo pertinente e coerente con la richiesta. La cosa è comunque sorprendente, e garantisce un effetto wow che fa gridare al miracolo. Il limite principale dello strumento non risiede comunque al suo interno, il limite reale è costituito dall’utilizzo che ne fanno le persone, nel loro modo di interpretarne la natura. Pensare che rappresenti la soluzione di ogni male, credere che non servirà più scrivere sui social perché l’AI lo farà al posto nostro, immaginare una personalità che al momento non esiste (non ancora almeno), in questi aspetti sta il suo limite. Come spesso accade uno strumento deve essere utilizzato nel modo corretto, solo che se per un martello abbiamo migliaia di anni di utilizzo, e quindi nessun dubbio su cosa farci, con ChatGPT abbiamo ora avviato una sperimentazione che ce ne sta facendo intravedere potenzialità e limiti. Lo “staremo a vedere” è fastidiosamente d’obbligo. Personalmente sarebbe già un successo se le aziende del vino, ma non solo, iniziassero a “giocarci” con un sano spirito di curioso interesse, consapevoli del fatto che demandare a ChatGPT la produzione del contenuto è forse solo lievemente meglio che chiedere al cugino, almeno l’AI non commette errori grammaticali”.

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