Vino in Belgio: cala il consumo, ma cresce il rosé

Il vino in Belgio è notoriamente più per i bevitori che per i produttori.

In un Paese famoso per la birra, nonostante la vicinanza dei cugini francesi, la produzione del vino in Belgio è sempre stata penalizzata dalle condizioni climatiche.

Il climate change ha invertito il trend, i produttori di vino sono aumentati e durante il periodo del Covid anche il consumo ha registrato un trend al rialzo.

Adesso però le cose stanno cambiando. Il trend è di nuovo in calo, ma continua a piacere il rosé: segno inequivocabile di come fiamminghi e valloni considerano il vino.

Il riscaldamento globale ha conseguenze su ogni aspetto della nostra vita ed è in grado di cambiare anche le economie dei Paesi. O quantomeno di metterli alla prova. Fino a poco tempo fa, nessuno avrebbe mai potuto pensare che sarebbe aumentata la produzione di vino in Belgio: vuoi per le condizioni climatiche, vuoi per una cultura più famosa per la produzione di birra (e maggiore passione per essa), in un solo anno, dal 2017 al 2018, il numero dei produttori di vino è aumentato di 11 unità, passando da 117 a 128, per una produzione da quasi 1 milione di litri. Non male per un Paese che all’inizio degli anni Dieci poteva contare circa 72 ettari di viti (ora sono circa 340) in tutto il territorio, che ricordiamo avere una superficie di 30.688 chilometri quadrati, su cui vivono 11 milioni e mezzo di abitanti.

Consumo di vino in Belgio: un’analisi del trend recente

Dal 2010 al 2020 in Belgio sono successe molte cose nel settore del vino, sia per quanto riguarda il consumo, sia per quanto riguarda la produzione.

Cava batte tutti

Iniziamo da un dato che ci tornerà utile per poi spiegare il rapporto che una buona parte dei belgi ha con il vino, dato risalente all’inizio degli anni Dieci. In 5 anni, quindi dal 2006 al 2011, il consumo degli spumanti ha registrato un +15% netto misurato come tasso composto di crescita annuale. Nel 2011, rispetto al 2010, il consumo di spumanti ha segnato un +6% molto significativo, che in numeri si traduce in 20,5 milioni di bottiglie, ovvero circa 15 milioni di litri. In quel periodo, gli spumanti francesi hanno subito un calo importante (minore, seppur presente, il calo degli Champagne), mentre sono stati i Cava spagnoli a prendersi la scena e ancora oggi proprio il Cava è lo spumante maggiormente consumato in Belgio. Tra i fattori determinanti di questo trionfo iberico, c’è il gusto per le bollicine, certo, ma anche e soprattutto un prezzo accessibile.

Il climate change ha favorito la produzione di vino in Belgio

Dal 2006 al 2018, però, è successa un’altra cosa, e stavolta riguarda la produzione di vino, che dal 2006 al 2018 è praticamente quadruplicata: tutto merito del cambiamento climatico, dell’invecchiamento delle viti, ma anche di una maggiore conoscenza del territorio e del terreno da parte dei viticoltori nordeuropei.

Il vino in Belgio c’è sempre stato, ma l’aumento della sua produzione nel periodo pre-Covid ha fatto pensare a un’inversione di tendenza importante nel Paese della birra per eccellenza. Per alcuni proprietari delle cantine la differenza sta anche nel gusto rispetto a quello avvertito venti anni fa, che da agrumato è diventato più esotico, così come nella consistenza, che da leggera è diventata più “grassa”, con una persistenza più lunga.

Il climate change è la risposta che spiega questo trend, con Regioni che fino a oggi sono idonee e adatte per la viticoltura, ma che in futuro forse non troppo remoto non lo saranno più, a differenza dei Paesi nordeuropei, che oggi sono meno noti per il loro vino, ma che domani potrebbero ereditare questa cultura dal Sud, o comunque da tutti quei territori il cui clima permette le condizioni idonee per la viticoltura.

Tuttavia, tra le sfide del climate change c’è anche la maggiore presenza di fenomeni atmosferici avversi di natura più violenta e improvvisa: il tempo non è più un orologio con il quale misurare il ciclo delle stagioni e il momento del raccolto, bensì una tela piena di squarci dove l’imprevisto può far scatenare il peggio e rovinare settimane e mesi di lavoro.

Resta il fatto che nel periodo pre-Covid c’era grande entusiasmo e ottimismo da parte dei produttori di vino, che si manifestava con dati e numeri incoraggianti sui livelli di produzione.

A oggi, l’entusiasmo c’è ancora, così come la voglia di fare vino, nonostante le irregolarità del tempo, compensate a loro volta da un clima decisamente differente rispetto a una ventina di anni fa.

Tuttavia, potrebbe essere una produzione orientata all’export, perché in Belgio il vino non è ancora così amato come dai cugini francesi.

Vino in Belgio: cala il consumo, ecco perché

Per quanto riguarda il consumo di vino in Belgio c’è stata una ripresa durante il Covid, ma nell’ultimo periodo altre categorie di bevande alcoliche stanno sopravanzando. Stando a dati di Wine Intelligence, dieci anni fa il vino rappresentava il 25% del volume complessivo di bevande alcoliche, ma si prevede che entro il 2026 questa quota scenderà di altri 5 punti percentuali.

Negli ultimi anni il trend di consumo di vino nel plat pays è sceso: la motivazione di questo calo sta nella percezione di questa bevanda come un bene costoso. Ancora una volta, quindi, è il costo l’ostacolo principale, o meglio, la percezione di un rapporto tra qualità e prezzo non regolare e considerato spropositato.

Va anche detto che il Belgio è una realtà piuttosto complessa sotto l’aspetto culturale: da una parte ci sono i Fiamminghi, più vicini agli olandesi, dall’altra i Valloni, più affini alla Francia, e in mezzo c’è Bruxelles. In Vallonia, poi, c’è stato un forte flusso migratorio da Paesi come la Polonia e l’Italia (ai tempi delle miniere), ma anche dalla Spagna: un crocevia culturale importante che ha contribuito a diffondere il vino sulle tavole, abitudine che però non si è confermata nel tempo, diventando un elemento che con il passare delle generazioni si è un po’ perso.

E infatti sulle tavole dei belgi, la cena accompagnata dal vino è una tendenza in forte calo, sia nelle generazioni più anziane (-13%), sia per le nuove generazioni, che rappresentano una quota complessiva del 31%, insomma, meno di un terzo.

Crescono il rosé e il vino da aperitivo

Cala il consumo di vino durante i pasti, ma cresce quello del vino da aperitivo e tra questi, soprattutto, il vino rosé. Insomma, si tende di più a consumare un vino come pre-pasto, con lo stesso stato d’animo di chi, a fine giornata e prima di andare a dormire, si beve il classico goccetto rilassante e digestivo.

Il vino in Belgio, quindi, si preferisce consumarlo di più come apri-pasto, aperitivo da accompagnare a qualche mise en bouche e chiacchiere informali.

Da qui un’apertura anche ad aperitivi classici che usano tra i loro ingredienti le bollicine. Il più tradizionale, vi sarà già venuto in mente, è lo Spritz. Nella sua ricetta originale è il cocktail aperitivo più ambito, spinto anche dalla crescita del Prosecco che sta conquistando sempre di più il cuore e il palato dei bevitori belgi, tanto che alcune stime, sempre secondo Wine Intelligence, predicono il sorpasso sul Cava entro il prossimo anno.

Lo Spritz ci permette di avere l’accostamento cromatico giusto per sfumare nel vino rosé, che sta crescendo nei trend di consumo a partire dal 2018, proprio quando bianchi e rossi iniziavano la loro fase calante. Il successo del vino rosé è dettato anche dal fatto che, non essendo propriamente considerato un vino da accostare a un piatto (preferendo abbinamenti più tradizionali, quindi il bianco e il rosso) e notoriamente più leggero, può essere bevuto come aperitivo ed è preferito in larga parte dalle generazioni dei nuovi consumatori.

Un esempio proviene dalla vicina Francia, tra i maggiori produttori di vino rosé al mondo, ma nel Paese transalpino si segnala anche il 35% del consumo mondiale. In Belgio, il 19% dei vini fermi consumati è rosé, un dato che è largamente superiore alla media mondiale, la quale si attesta al 10,4%.

Segno di un nuovo dialogo di culture con il vino, ma anche di un rapporto che non è mai stato consolidato appieno, dove quindi si preferisce demarcare il gap tra gli appassionati e gli amanti del vino, ovvero da chi lo considera ancora come piacere degustativo per accompagnare e completare un piatto, e le nuove generazioni, più inclini ad allontanare gli agi dei padri per crearne di nuovi.  

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