Il vino alla corte medicea: dall’import-export con la Francia alla proclamazione del Chianti Classico

Per la corte medicea il vino ha sempre giocato un ruolo importante, come testimoniato dalle parole di Galileo Galilei e nel componimento di Francesco Redi

Caterina De’ Medici regina di Francia e i traffici vinicoli

La scorsa settimana abbiamo anticipato che la maggior parte dei componenti della corte medicea erano grandi appassionati al vino, sia per il consumo personale che per l’utilizzo dal lato commerciale.
Dopo esserci concentrati prevalentemente sulla figura di Lorenzo Il Magnifico proseguiamo cronologicamente ad osservare i collegamenti tra gli altri membri della nobile casata fiorentina e il prelibato nettare.
Iniziamo da Caterina De’ Medici, bisnipote del Magnifico, che sposò nel 1547 il futuro re di Francia, Enrico II. Fu lei ad importare oltralpe, insieme al fondamentale uso della forchetta a tavola, i vitigni nostrani di Trebbiano e Malvasia. Questi vengono utilizzati anche al giorno d’oggi per preparare liquori come il Cognac e l’Armagnac. A livello di esportazione invece la principessa introdusse in Toscana il Cabernet, la cosiddetta ‘Uva Francesca’. Il vitigno francese trovò sulle colline di Carmignano il suo primo territorio di domesticazione per la produzione italiana.

Caterina De’ Medici

Galileo Galilei, un cultore del vino alla corte medicea

Spostiamoci ora nel tempo dei Granduchi di Toscana, agli inizi del Seicento, con Cosimo II grande amante della buona tavola e dei migliori vini in circolazione in quell’epoca. Costretto all’immobilità forzata a causa della tubercolosi, era solito riunirsi in una sala di Palazzo Pitti a Firenze. Qui, in compagnia di alcuni amici si ritrovava a conversare e degustare vino alleviando la sua sofferenza. Il granduca si intratteneva spesso a trattare di tematiche fisiche e astronomiche, davanti a un buon calice, anche con l’amico e scienziato di corte Galileo Galilei. Quest’ultimo era un appassionato viticoltore presso la sua residenza fiorentina di Arcetri. Il celebre astronomo e fisico pisano, non a caso, definiva il prezioso nettare come “un composto di umore e luce”.

Galileo Galilei

Francesco Redi e la rassegna dei vigneti nel Bacco in Toscana

Intorno alla fine del Seicento, al cospetto del granduca Ferdinando II, fu accolto lo scienziato e naturalista Francesco Redi. Ricoprirà anche il ruolo di medico di corte e di poeta. Sarà lui a comporre a comporre il famoso ditirambo Bacco in Toscana, componimento in elogio ai vini toscani e simile per certi aspetti al Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici. Va precisato che nella letteratura classica greca il ditirambo rappresenta un genere di poesia lirica corale che celebrava originariamente il culto dionisiaco del vino. I versi, scritti in metri vari, erano cantati da un coro che danzava in cerchio, accompagnato dalla musica. Nell’accezione moderna di Francesco Redi, diviene invece un componimento lirico di vario metro e dal ritmo concitato. I versi esaltano l’ebbrezza generata dal vino ed esprime la gioia di vivere e la celebrazione dell’amore.
Nell’opera di Redi il dio del vino Bacco e la sua sposa Arianna si fermano a Firenze col proprio seguito nella villa medicea di Poggio Imperiale passando in rassegna i vini della Toscana. L’autore prende in esame soprattutto quelli del contado fiorentino, citandone anche altri di altre regioni italiane che conosceva per esperienza personale, o semplicemente letteraria. Infine elegge come migliore di tutti il Montepulciano, di “ogni vino il re”. Denigra però i vini di pianura, e le bevande esotiche come caffè, tè e cioccolato e quelle nordiche come il sidro e la birra.

Cosimo III e la dichiarazione del Chianti Classico

A simboleggiare Bacco nel componimento di Francesco Redi, pubblicato nel 1685, è nientedimeno che il suo mecenate Cosimo III, figlio di Ferdinando II. Sarà lui, il 24 settembre 1716, a Firenze a emanare il Bando Sopra la Dichiarazione dei Confini delle quattro Regioni Chianti, Pomino e Valdisieve, Carmignano, e Valdarno Superiore. In questo documento il granduca indica e delimita i confini delle zone entro le quali possono essere prodotti i vini citati. Il resto recita che “per il Chianti è restato determinato e sia dallo Spedaluzzo fino a Greve. Di lì a Panzano, con tutta la Podesteria di Radda, che contiene tre terzi, cioè Radda, Gaiole e Castellina, arrivando fino al confine dello Stato di Siena“.
Questa dichiarazione consiste in una vera e propria anticipazione del concetto di ‘denominazione di origine’. Si tratta di un decreto che istituisce una Congregazione di vigilanza sulla produzione, la spedizione, il controllo contro le frodi e il commercio dei vini. Il granduca instaura così la prima antenata dei consorzi che aveva il compito di vigilare sulla qualità quantità e origine dei vini prodotti. Si ottenne quindi una prima vera valorizzazione ufficiale del vino toscano, e lo stesso Cosimo III acquisisce la nomea, tramite l’emissione del suo editto, di ‘padre putativo’ del Chianti Classico. Il bando mediceo in questione rappresenta uno degli atti più importanti sanciti nei suoi 53 anni di regno del granduca, ovvero dal 1670 al 1723, che non a caso fu il più lungo nella storia della Toscana.

Il vino al centro dell’epopea dell’intera dinastia medicea

Con l’ultimo esponente della casata, Giangastone De’ Medici, il vino ottenne un ruolo chiave nel tentativo di ingraziarsi gli altri governi. Il terzo figlio di Cosimo III cercò infatti di rinsaldare la reputazione dello Stato Mediceo e prestigio in tutta Europa in quasi tutte le corti europee inviando botti e bottiglie delle migliori produzioni toscane. Anche questo fatto testimonia come il prezioso nettare sia sempre stato al centro di azioni e iniziative intraprese dalla casata medicea nel lungo periodo di dominio sulla Toscana.

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