Oltrepò Terra di Pinot Nero

Compatti, solidi, fermi nel loro obiettivo di confermarsi nella scena enoica come i padrini, o meglio le madrine dato il consistente numero di produttrici, del Pinot Nero in Italia, i produttori dell’Oltrepò avanzano con passo sicuro verso un orizzonte sempre più vicino.

Un orizzonte di dolci colline ondulate che caratterizzano il paesaggio di questa area che definirei particolarmente divertente. Camminando per le strette strade che ramificano in mezzo alla campagna non è raro sentirti quasi in obbligo di fermare l’auto dinanzi alla vista mozzafiato di un ampia vallata e riempirti gli occhi della calda luce del sole e dei colori armoniosi dei filari di Pinot Nero, Barbera, Riesling, Croatina, e tante altre che si traducono nella grande offerta a firma Oltrepò.

La storia dell’Oltrepò, terra di Pinot Nero

La prima citazione della presenza di una viticoltura in Oltrepo’ si ha da Strabone (tra il 60 a.C. e il 20 d.C.), storico e geografo greco, il quale scriveva nel tratto compreso fra Piacenza e Clastidium: “Della bontà dei luoghi è prova la densità della popolazione e la grandezza delle città e la ricchezza… La terra coltivata dà molti e svariati prodotti… l’abbondanza del vino viene indicata dalle botti fatte di legno e più grosse delle case…”.

“Un vino buono, popolo ospitale e botti in legno molto grandi”

Strabone, 40 a.C., documenta il suo passaggio in Oltrepò

Una delle testimonianze più significative della presenza della attività vitivinicola in Oltrepò si ritrova nel Bollettino del Comizio Agrario Vogherese del 1876 che documenta il ritrovamento di una caràsa fossile, vale a dire di un tronco di vite fossilizzato, lungo 25 cm per 6 di diametro, ritrovato nei pressi di Casteggio (Clastidium).

Ma numerosi altri scritti hanno arricchito la fama di questa regione. Ettore Cantù racconta che “i Gallo-Liguri delle colline oltrepadane avevano bisogno di comunicare con la Lomellina per smerciarvi il loro abbondante vino”; Giuseppe Acerbi nel 1825 stila un dettagliato elenco di vitigni autoctoni dell’Oltrepò Pavese nel volume Viti Italiane pubblicato nel 1825; ma addirittura antecedente a questo, nel 1550, se ne parlava già nell’opera di Andrea Bracci “De Naturalis Vinorum Historuia De Vinis Italie”. 

Nel suo libro ‘I vini dell’Oltrepò Pavese’ del 1974, Adriano Ravegnani riporta: “A memoria d’uomo la coltivazione della vite è stata caratteristica e ragione vitale di questa dolce e generosa plaga italiana. Chi abbia importato la vite nell’Oltrepò è incerto: alcuni pensano che dall’Armenia, dalla Georgia e dalla Mesopotamia – ove sono stati portati alla luce reperti databili dal sesto al quarto millennio avanti Cristo – irrequiete popolazioni ariane, per via di mare e di fiume, abbiano qui trovato insediamento stabile. Secondo altri studiosi in Europa, e quindi anche nella regione chiamata oggi Italia, allignavano vitigni indigeni, autoctoni. Le due tesi, tuttavia, potrebbero coincidere e convivere”.

Vini e vitigni

In Oltrpò possiamo trovare davvero una biodiversità difficilmente replicabile. Il territorio è estremamente diversificato dal punto di vista pedoclimatico e già nel 1884 l’Oltrepò Pavese vantava 225 vitigni autoctoni. Oggi sono oltre 12 fra quelli mai persi e quelli ritrovati: tra questi il Pinot Nero, Croatina, Barbera e Riesling, Uva Rara, Ughetta / Vespolina, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Cortese Bianco, Moscato, Malvasia e Müller-Thurgau.

Talk ’n’ Toast – Conversazioni sul Pinot Nero: terroir a confronto dalla Borgogna all’Oltrepò

L’evento dedicato all’Oltrepò, il secondo di quest’anno, è significativamente voluto da gli ambasciatori di queste terre, che vogliono dare una risposta al quesito: Cosa rende unico il Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese? E qual è la direzione intrapresa dai produttori, negli ultimi anni, nei confronti di un vitigno così potente, elegante e poliedrico?

Sono stati questi i temi dell’incontro “Talk ’n’ Toast – Conversazioni sul Pinot Nero: terroir a confronto dalla Borgogna all’Oltrepò”, organizzato presso DaDa in Taverna a Milano, dove si è parlato dei terroir e delle caratteristiche di queste due grandi aree, da sempre vocate alla produzione di Pinot Nero.

In Oltrepò il Pinot Nero riesce, storicamente, ad esprimere con successo le sue due anime, quella importante e pregiata della vinificazione in rosso e quella della raffinata bollicina Metodo Classico: merito delle caratteristiche del suolo e del suo clima particolare, oltre che della capacità e dell’intraprendenza dei viticoltori e delle cantine – soprattutto a conduzione familiare – che guardano al futuro, ispirandosi certamente anche al mito della Borgogna, e continuando ad investire nella sperimentazione, nella sostenibilità e nella ricerca per delineare sempre più l’identità dei loro prodotti in modo che sappiano conquistare gli appassionati, esaltando tutte le caratteristiche del territorio e con un’impronta sempre più internazionale.

L’evento ha consentito di scoprire nuove sfumature attraverso la narrazione dei due terroir, in un interessante confronto tra Armando Castagno, critico e autore del libro “Le vigne della Côte d’Or” sulla Borgogna, e Filippo Bartolotta, da oltre vent’anni comunicatore del vino italiano nel mondo.

I risultati ottenuti

“Questi produttori stanno dimostrando che è arrivato il momento di prendersi onore e onere nell’annunciare di essere il più importante distretto del Pinot Nero in Italia. Tremila ettari di questa uva straordinaria coltivata in un terroir definito storicamente e geograficamente in modo inequivocabile: un triangolo equilatero con la base costituita dal Po e dalla via Emilia che sale a sud fino a 1700 metri. Un cuneo, nel lembo nord più estremo degli Appennini, confinante ad ovest con il Piemonte e ad Est con l’Emilia Romagna, con la Liguria che a piedi si può raggiungere attraverso la bellissima via del sale.  Viticoltura di montagna con pendenze che toccano anche i 45 gradi lasciando che la vista rimanga ingannata come se fossero della stessa verticalità di un muro di un edificio. Decine di colline che sembrano le quinte di un teatro cinese. Qui il Pinot Nero ha trovato i suoi natali verso la metà dell’800 e, nel 1865, nasce il primo metodo classico italiano grazie al lavoro del Conte Vistarino e dell’imprenditore Carlo Gancia. una storia costruita da una collettività che adesso ha deciso di crederci un po’ di più e di rivelare con più decisione il lavoro svolto in questi ultimi anni”, spiega Filippo Bartolotta.

“La rivelazione dell’eccezionalità di un terroir non è un evento così anomalo: è la norma, nella storia delle zone classiche del vino mondiale, e anche l’Italia stessa ha fornito nel recente passato esempi clamorosi. Il senso del terroir, in definitiva, è del resto proprio questo: la sua definizione territoriale è il conseguimento che arriva al culmine – non al termine – di un percorso di conoscenza che la comunità umana intraprende sulle interazioni reciproche tra vari elementi del proprio ambiente”, racconta Armando Castagno

“L’azione dell’uomo sul paesaggio, della geologia sul vitigno, dell’uomo sul vitigno, la condivisione del sapere tecnico in viticoltura ed enologia, sono elementi fondanti del terroir. Io credo che i vignaioli dell’Oltrepò, che da quasi due secoli lavorano con il Pinot Nero inseguendone i talenti straordinari – resi in declinazioni diverse – stiano marciando tutti insieme, con una coesione che è condizione fondamentale, lungo questo percorso di conoscenza. Che non sarà breve, beninteso, ma che nel suo snodo, in ogni caso, avrà rivelato qualcosa che non si conosce ancora del tutto, e sarà stato quindi preziosissimo. Ritengo che la parola che dovrà scandire questo itinerario sia “rigore”: a livello associativo, di viticoltura, di produzione, di disciplinare, di comunicazione, di sostenibilità economica; in sostanza a tutti i livelli. Un rigore che fa rima, se mi passate il termine, con coerenza e con sobrietà, porta già di per sé reputazione e consenso, da critica e pubblico. Anche perché in questo caso, circostanza della quale siamo pressoché tutti convinti, è speso per conoscere e far conoscere i frutti di un territorio dalle potenzialità straordinarie”. 

“Questa iniziativa fa seguito alla prima edizione di Oltrepò – Terra di Pinot Nero: un territorio, un vitigno, due eccellenze, che si è svolta con successo a settembre a Casteggio in Provincia di Pavia. L’interesse e il riscontro positivo ci confermano che la scelta fatta – di impegnarci in prima persona e di fare squadra, è quella giusta”, sostengono i 23 produttori che hanno dato vita all’evento. “La promozione è importante se dà modo di raccontare tutto ciò che contribuisce a rendere unico un vino: il vitigno, il territorio, il clima, i viticoltori che lo producono con procedimenti innovativi ma in continuità con una storia che riporta alle tradizioni del luogo. Momenti come questi servono sia a noi produttori – per spronarci nell’alzare ulteriormente l’asticella qualitativa del prodotto – sia a chi deve raccontare il nostro vino, che di fatto diventa la nostra voce verso i consumatori”.

Le 23 cantine partecipanti insieme per un territorio tutto da raccontare

Per la degustazione dei Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese e degli Oltrepò Pavese Metodo Classico si sono presentate 23 cantine partecipanti:

“Nei calici del metodo classico si può riscontrare già una bella continuità espressiva. Nei Pinot in Rosso, nonostante qualche etichetta che da anni ormai riesce a raccontare l’Oltrepò con grande trasparenza, si percepisce che ci sono state collettivamente meno vendemmie sulle spalle. L’importante è che il viaggio ora è iniziato e tutti i produttori presenti sembrano avere la piena consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, sono sicuro che quest’anno si berrà più Pinot Nero dell’Oltrepò sulle nostre tavole di Natale”, conclude Bartolotta.


“Siamo molto soddisfatti dei numerosi commenti positivi e di essere riusciti a confrontarci su un territorio che ha ancora molto da raccontare”, affermano i produttori. “Si tratta di un ulteriore passo verso il nostro obiettivo comune che è quello di impegnarci a fare sempre del nostro meglio per la crescita della reputazione di tutto l’Oltrepò in Italia e all’estero, con il Pinot Nero che diventa, per noi, un vino sempre più identitario”.

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