L’Asprinio d’Aversa e l’alberata aversana

La storia dell’Asprinio d’Aversa si fonde con quella del suo sistema di allevamento, l’alberata, presidio slow food e testimonianza storica dell’allevamento della vite ai tempi degli etruschi

Tra le denominazioni più affascinanti e antiche della Campania, ce n’è una che si coltiva ancora secondo una antica tecnica che risale al tempo degli etruschi. Si trova tra Napoli e Caserta, è la Doc Aversa e qui alleva l’Asprinio con una singolare forma di allevamento: l’alberata.

L’Asprinio e l’alberata etrusca

L’alberata è una delle forme di allevamento utilizzata in Italia, con cui la vite, che è una rampicante, viene fatta crescere “maritata” ad un albero, invece dei più comuni sostegni, come fili e pali. La tradizione di maritare le viti sembra derivi addirittura dagli Etruschi, che usavano addomesticare antichi vitigni selvatici in questo modo.

Nel caso dell’alberata aversana, questa definizione è quasi riduttiva. Le viti si arrampicano su alberi di pioppo, che sono legati tra loro con fili zincati. Il risultato è spettacolare! Una vera opera architettonica immersa nella natura, la cui disposizione spesso segue la centuriazione romana, il sistema con cui organizzavano il territorio agricolo. Da un punto di vista pratico si ha una minore occupazione di suolo, sfruttando molto l’altezza della parete, ma per contro c’è da tenere presente che la tecnica necessita di molta mano d’opera esperta e non è completamente meccanizzabile.

La lavorazione dell’alberata aversana

Data l’altezza delle viti, che possono arrivare a 20 metri, per ogni lavorazione è necessario l’utilizzo di lunghe scale a pioli strette e leggere, che permettono di essere trasportata da un solo uomo, dette scalillo. La maestria dei vilignatori non è solo quella di arrampicarsi in questi muri di tralci ma anche nel saper mantenere l’architettura della vigna durante le operazioni di potatura

Durante la vendemmia si usa una fescina cesto di vimini a punta che viene calato a terra, una volta pieno di grappoli raccolti rigorosamente a mano. Il suo peso e la velocità con cui scende gli permette di incunearsi nel terreno senza rovesciarsi.

Un solo vitigno si è adattato a questo sistema di allevamento: l’Asprinio

L’asprinio, iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite del 1970, è il solo vitigno a bacca bianca, geneticamente sovrapponibile al greco, che viene allevato con questo metodo. Foglia medio-piccola, pentalobata, pagina superiore glabra, di colore verde chiaro. Ha un grappolo medio-compatto, conico e allungato, gli acini sono caratterizzati da una copertura pruinosa e colore verdolino. Come suggerisce il nome stesso di questa varietà, una caratteristica lo rende unico nel suo genere: l’acidità. Grazie alla sua indole “aspra” questa uva è particolarmente adatta anche alla produzione di basi spumanti. Il colore generalmente è giallo paglierino con riflessi verdolini, il profumo è di media intensità e fruttato, con riconoscimenti di agrumi.

Quali sono le aree dove è ancora in uso l’alberata aversana?

Siamo a nord dei Campi Flegrei. L’area è caratterizzata da suoli di origine vulcanica, ricco di minerali e di rocce tufacee, in particolare l’ignimbrite campana. Grazie alla friabilità del tufo, in passato sono state scavate tantissime grotte per conservare alimenti e vino, che rappresentano una importante testimonianza del passato. Ci sono più di 20 comuni che possono produrre questo vino:

  • Provincia di Caserta: Comuni di Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano di Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Villa di Briano e Villa Literno;
  • Provincia di Napoli: Comuni di Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo.

Un sistema di allevamento sempre più in disuso

Mentra in passato, intorno agli anni ‘60, tra le province di Napoli e Caserta si registravano circa 16.000 ettari coltivati ad alberata, oggi ce ne sono meno di duecento, sparsi in un territorio molto vasto, spesso ridotti a piccoli appezzamenti di un solo ettaro. Le cause sono da ricercare nell’aumento demografico e la massiccia urbanizzazione, oltre al fatto che vi è sempre meno personale che lavora in campo e si cerca di meccanizzare le produzioni, per ridurre i costi di produzione.

Gli enti a tutela del patrimonio dell’alberata

Per preservare la perdita di questo sistema di allevamento sono stati fatti numerosi interventi, si supporto sia economico che promozionale con il Consorzio ViTiCa, o la nascita del presidio, che lavorano per recuperare le alberate abbandonate, evitandone l’espianto per mancanza di vincoli e di una legislazione specifica, sviluppare e valorizzare la produzione di vino di uve provenienti da alberata, valorizzando tutta la filiera. Dello scorso anno è la candidatura a Patrimonio Unesco.

Il presidio è sostenuto da “La mia Terra Vale” – Progetto in risposta all’Avviso Pubblico “Giovani per i Beni Pubblici” finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per il Servizio Civile e le Politiche Giovanili.

I produttori

  • Aia delle Monache di Caterina Verzillo
  • Alberata Arena Cesa di Immacolata Rao
  • Azienda Vinicola Cavasete di Giuseppe Luongo
  • I Borboni di Nicola Numeroso
  • Cooperativa Sociale Eureka Onlus
  • Cooperativa Sociale Terra Felix
  • Antonio Fontana
  • Raffaele Magliulo
  • Masseria Campito di Claudia De Martino
  • Nicola Giovanni Migliaccio

Un focus sulla Doc Aversa o Asprinio d’Aversa

La denominazione Doc Aversa è stata istituita nel 1993, ai confini meridionali delle Colline Caiatine-Terre del Volturno, nella fertile Piana Aversana, che si estende fino alle porte di Napoli, ed è uno dei territori a più alta vocazione agricola di tutto il Mediterraneo.

I vini prodotti possono essere sia nella tipologia ferma-secca (minimo 85% di asprinio), sia la versione Spumante (asprinio 100%), una delle poche che meritano di essere citate in Campania per importanza storica e tradizione (si può utilizzare sia il metodo Charmat, sia il Metodo Classico).

La cantina Caputo 1980, durante l’annuale manifestazione che presenta la Campania vinicola al mondo della critica e del giornalismo, ha proposto:

  • Metodo classico nature Nimà, un blend di asprinio, falanghina e pallagrello, 12 mesi sui lieviti;
  • Metodo classico brut millesimato 2017 Caputo 1980, di asprinio 100%, con 3 anni di affinamento sui lieviti, 3 mesi nelle pupitres e 6 mesi in bottiglia;
  • Asprinio di Aversa Fescine 2021, di uve asprinio vinificate in acciaio con 4 mesi di bottiglia.

Per quanto riguarda gli ettari di produzione totali della denominazione, sono presenti 73,49 ha vitati idonea a produrre vini certificati. Nella vendemmia 2018 sono stati rivendicati poco più di 1.225 ettolitri, riferiti a poco di più 28,50 ettari, per una produzione potenziale di poco superiore alle 163.000 bottiglie (Dati Agea-Sian).

Con cosa si abbina l’Asprinio d’Aversa?

Il vino è fresco e secco e la struttura è media. Gli abbinamenti ideali sono con dei piatti con tendenza grassa e persistenti. Ideale come aperitivo o con degli antipasti, si abbina bene con piatti a base di pesce, con la mozzarella di bufala o con il fritto.

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