Export Vino: tutti i dati di Nomisma Wine Monitor

“Oggi il problema nel fare business all’estero è che l’Italia si presenta con troppi interlocutori che dicono cose e hanno esigenze diverse: servono nuove regole di ingaggio valide per tutti con strumenti di comunicazione e promozione univoci. Domani parlerò con i colleghi ministri dello Sviluppo economico e degli Esteri per istituire un tavolo che costruisca una promozione unica del Wine&Food italiano”. Lo ha detto, oggi al Wine2Wine di Verona nel corso del convegno di apertura il ministro delle Politiche agricole alimentari, forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio.

 

Al convegno, cui ha partecipato tutta la filiera del settore, le stime di chiusura 2018 dell’export enologico del Belpaese. “Ci apprestiamo a registrare per il 9° anno consecutivo un nuovo record nelle esportazioni di vino – ha commentato il presidente di Veronafiere, Maurizio Danese -, con una crescita stimata per il 2018 più che doppia rispetto all’export globale del prodotto Italia. Ma dall’analisi dei dati del nostro Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor sono di più i motivi per rimboccarsi le maniche che per gioire: fatichiamo nei mercati chiave come Usa, Regno Unito, Canada, registriamo perdite in piazze storiche come la Germania e la Svizzera e cresciamo poco in Asia”.

 

 

Le stime export presentate oggi dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor (a fonte dogane) prevedono una crescita delle vendite sui 12 mesi 2018 del 3,8%, a quasi 6,2 miliardi di euro di prodotto tricolore esportato. Una variazione positiva che non trova riscontro nei volumi, in calo del 9%, dovuto principalmente dovuto alla scarsa vendemmia dello scorso anno. Ma la crescita, rileva l’analisi illustrata oggi al ministro Centinaio, è interamente da imputare all’ennesima performance positiva degli sparkling (prosecco in primis) che hanno contribuito a mantenere in timido segno positivo mercati decisivi come Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Russia e Svezia e a limitare parzialmente i trend negativi di Giappone e Svizzera. Crisi ‘strutturale’ invece del partner Germania, dove la perdita tocca il 4,1% con un calo sia dei fermi imbottigliati che degli spumanti.

“Chiudiamo un export 2018 a luci e ombre – ha aggiunto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – in un anno in cui il vino italiano ha ricevuto straordinari posizionamenti nelle guide di settore a livello internazionale. È evidente che stiamo assistendo a un cambiamento delle polarità nel mercato del vino, per questo serve un’armonizzazione delle politiche di promozione: oggi serve un salto di qualità come a metà degli anni ’80, dove erano forti le bandiere di aggregazioni del made in Italy. Dal canto nostro – ha concluso Mantovani – il nuovo piano industriale prevede un ulteriore sviluppo di Vinitaly sui mercati esteri”.

Nel confronto diretto con i principali competitor, l’Italia realizza trend inferiori rispetto alla leader Francia (a 9,54 miliardi di euro, +4,8% a valore) e della Spagna, che supera la soglia dei 3 miliardi di euro (+5,2%). Male i produttori del nuovo mondo, che nonostante gli accordi bilaterali favorevoli sul fronte dei dazi virano complessivamente in negativo. Con l’Australia a +0,1% che stacca il Cile, a -5,4%, gli Usa (-6,8%) e la Nuova Zelanda a -4,4%.

 

DATI: LA CRISI DEI VINI FERMI NEI PAESI CHIAVE. SOLO GLI SPUMANTI FANNO FESTA

Il consueto exploit degli spumanti (+16,3%), evita la crescita zero del made in Italy enologico. I fermi imbottigliati, destinati a chiudere a +1,2%, sono in sofferenza in particolare nei 3 principali Paesi buyer – Usa (-1,9%), Germania (5,4%), Regno Unito (-4,1%) -, ma anche in Giappone, Canada, Svizzera e Russia.

“Dall’analisi dei numeri – ha detto il responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini – quello che sembra emergere è che al di là di tutto, l’Italia cresce ma soprattutto grazie agli spumanti. Si tratta di un trend che va avanti ormai da alcuni anni e che nel 2018 si è maggiormente accentuato in alcuni Paesi come Usa e Germania dove nel primo caso sono i vini fermi francesi, in particolare i rosé, a togliere spazio di mercato ai nostri prodotti, mentre in Germania sono i domestic wine a crescere maggiormente”.

Il dettaglio sui top 10 Paesi importatori (Usa, Uk, Germania, Cina, Canada, Giappone, Svizzera, Russia, Svezia, Brasile), che da soli valgono i 2/3 degli scambi globali di vino, segnala una perdita a volume dell’export italiano in tutte le aree considerate a eccezione degli Usa (+0,9%). Diverso lo scenario a valore, con decrementi in Germania, Giappone e Svizzera mentre sono positivi ma contenuti i trend nelle altre piazze, con Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Svezia e Russia destinati a crescere non oltre i 2 punti percentuali. Diverso il discorso sulla Cina, che ha chiuso da 6 mesi le proprie fonti doganali e dove l’Italia, secondo i principali partner commerciali, cresce del 3,8%.

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