Intervista al prof. Bignardi: seconda parte. Cantine in e cantine out in termini di architettura

L’importante è mettersi in dialogo con il territorio. Alcuni esempi: Castello di Ama, cantina Antinori di Casamonti e Château la Coste en Provence.

Massimo Bignardi  foto di Carlo Ferrara
Massimo Bignardi foto di Carlo Ferrara

Continuiamo il nostro viaggio – iniziato qui – col Professor Bignardi fra le cantine d’autore, per cercare di capire quando una cantina è in e quando è out.

Lei è un esperto di arte ambientale, che pone al centro del percorso artistico l’interazione uomo-ambiente. Quali sono i parametri che permettono ad un’opera architettonica di essere un valore aggiuntivo per il territorio e non uno “sfregio”?

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Disneyland De Riscal

Innanzi tutto il suo effettivo aderire all’identità di un territorio, il che significa evitare le smanie proprie di una forzata necessità di sentirsi (apparire) “contemporanei”. Essere contemporanei non significa aspirare a soluzioni che, in molti casi, scivolano in ripetute Disneyland o in altri “non luoghi” come recita il titolo di un ben noto libro di Marc Augé. Tantomeno accogliere la dimensione della tradizione che, per molti, significa sposare il suo valore formale e dare ad esso la sopravvivenza nel presente. L’architettura è fatti di segni (disegno), di materiali e di funzioni: ai materiali, in primis, è affidato il diretto dialogo con il territorio, con il “luogo” inteso quale espressione della molteplicità sociale, antropologica, culturale disposto ad accogliere e a confrontarsi con la tecnologia che è espressione dei tempi e della capacità dell’uomo contemporaneo. L’opera architettonica coniugata con i segni dell’arte nella prospettiva di “luogo” quale continuum, diventa valore aggiunto quando la sua presenza non è auto celebrativa, bensì configurazione, dunque di un corpo che dialoga con la memoria, il presente, insomma si fa attualità di prospettive sociali e culturali. Diventa sfregio quando l’architettura, ma anche l’arte, assumono la pretesa di darsi quali affermazioni di verità, sottoscritte da una “firma”.

Quanto conta l’integrazione a livello cromatico? O si tratta piuttosto di rispettare i moduli morfologici del paesaggio? O è invece una questione di materiali? O c’è altro?

Il colore è certamente fondamentale: beninteso non un colore che si piega alla tradizione quale adesione ad uno schema inalterabile nel tempo, bensì un colore che interpreti anche la vivacità di una nuova ed aggiornata visione che abbiamo della natura. Lo stesso dicasi per la morfologia del territorio, per il disegno dei crinali, del loro rapporto con aree coltivate e il bosco, mantenendo vigile lo sguardo che renda attuale l’azione di antropizzazione operata. Guardare l’immagine della campagna senese raffigurata da Lorenzetti nel Buongoverno attraverso la realtà che è davanti ai nostri occhi, ci fa scoprire i passi che la società ha fatto nei secoli e quanta strada aspira ancora a percorrere.

Quali modelli di “buona condotta” architettonica citerebbe ad esempio?

bargino_22Parlare di un modello è come dare una ricetta applicabile ovunque. Tale prospettiva operativa ricalca una metodologia che offre il fianco alle tentazioni dell’architetto di consolidare il proprio desiderio di “rivedersi”. Penso che l’opera debba necessariamente nascere dall’incontro con il luogo, con la molteplicità di storie che esso ci racconta e al tempo stesso l’infinità quantità di domande in merito al suo futuro. Un esempio di buona progettazione, o meglio quella che sento più vicina alla mia prassi di operatività ambientale, è la cantina Antinori di Casamonti. Mi affascina l’idea del taglio che, se da una parte riesce a non alterare la morfologia del paesaggio che l’accoglie, ci permette di immaginare uno spazio, proprio come nelle intenzioni di Fontana con i suoi tagli (li chiamava Attese, ponendosi quindi in relazione con una nuova idea di ‘tempo’) incidenti al di là del piano pittorico. Lavoro_10012Casamonti ha proposto un’architettura per conquistare lo spazio all’interno della dimensione percettiva di un paesaggio, interpretando quest’ultimo come materia plasmabile, senza, però, ricorrere alla tentazione di un’architettura esplicitata come corpo del visibile. Modellare dall’interno la materia, costruire nella sua dimensione interiore per sottrazione. Risponde, più di tutte le altre citate, a quel gioco di rapporti di arte e spazio che per Heidegger dove essere “pensato a partire dall’esperienza di luogo e contrada”. L’arte come  scultura, sosteneva il filosofo, ed io aggiungo come  architettura, non è una “presa di possesso dello spazio”.

Qual è la sua cantina “moderna” preferita? 

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Château La Coste

Il progetto di cantina che trova una maggiore adesione alla mia idea di “arte ambientale” quindi anche di prospettiva operativa capace di coniugare il territorio e la sua identità, in arte ed architettura, è lo Château la Coste en Provence, i cui lavori sono stati avviati nei primissimi del Duemila (il completamento del primo lotto è del 2004). Si tratta di un vero e proprio parco posto sulla strada de La Cride, poco distante da Le Puy-Sainte Réparade, nella vivace regione della Provence.

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Una delle opere al Castello di Ama

Se proviamo a dilatare quanto è stato più tardi realizzato a Castello di Ama, immaginando le installazioni di opere site specif al di là del perimetro delle cantine e dei locali di accoglienza, spingendosi anche nel vigneto, nel territorio circostante, arricchendolo di significative “impaginazioni” architettoniche, comprendiamo cosa è stato fatto e si continua a fare a Château la Coste.

La grande cuverie progettata da Jean Nouvel è posta al centro del vigneto; di fronte l’architettura quasi trasparente del pavillon disegnato da Tadao Ando, prospiciente l’invaso di una grande fontana, nel quale sono state collocate lo Small Crinkly, un mobile di Calder del 1976 e il Crouching Spider 6695 di Louise Bourgeois, del 2003. Poi il percorso tra arte ed architettura contemporanea si perde in un vasto territorio, ove tra giardini, grandi siepi mediterranee, oliveti ci si imbatte con installazioni di artisti contemporanei; da Richard Serra a Guggi, a Andy Goldsworthy che ha realizzato un intervento ipogeo dal titolo Dak room (2009), a Hiroshi Sugimoto, a Liam Gillick che su una leggera altura ha impaginato Multiplied Resistance Screened,  una coloratissima installazione che ricorda vagamente quella realizzata da Soto nel corso degli anni Novanta (la memoria va anche all’opera del Giardino Spoerri a Seggiano).

Lo Château è un grande territorio della creatività che guarda ad un futuro prossimo, con i progetti a firma di Renzo Piano, Richard Roger e dello stesso Jean Nouvel. Un territorio aperto al pubblico perché la struttura dello Château la Coste è luogo effettivo d’incontro, di visita e di degustazione di vini, ove i segni e i corpi dell’arte e dell’architettura contemporanea dialogano con la vita di questo “luogo” e con la sua identità.

 

 

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