Che cos’è il vino naturale? Ad Expo si è provato a fare chiarezza

Punto di vista scientifico, produttivo e di mercato. Nuove prospettive, correzioni del genoma e varietà resistenti

Vino naturale, croce e delizia dei palati e dei consumatori. Che di fronte al termine “naturale” non sanno propriamente cosa esso indichi. A cercare di fare chiarezza è stato l’incontro “Proviamo a definire il vino naturale e … innaturale” di scena i giorni scorsi a Expo. Ecco cosa è emerso.

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Attilio Scienza

Da un punto di vista scientifico, come puntualizzano Attilio Scienza e Vincenzo Gerbi, professori ordinari di Enologia all’Università di Milano e Torino, tale definizione non ha alcuna validità.

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Platone

“Naturale – spiega il professor Scienza – è tutto ciò che nasce e si sviluppa senza l’intervento dell’uomo. Nel caso del vino l’unica cosa che esiste di naturale è l’antica pratica, sopravvissuta in alcune zone della Maremma, di raccogliere le uve selvatiche alla nascita del primogenito, e produrre vino da fermentazione spontanea che poi viene bevuto al raggiungimento del diciottesimo anno d’età”. E qui entra in gioco persino un grande pensatore come ricorda Scienza: “Tutto il resto, non si può considerare vino naturale, perché, come diceva Platone, un tavolo esiste già in una foresta, ma senza la tecnica non può esistere. Stessa cosa vale per il vino, dove la tecnica è tutto.”

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Johanniter, uno dei vitigni resistenti recentemente ammessi alla coltivazione in Italia

Eppure, facciamo ancora fatica ad attraversare la “porta stretta” delle produzioni biologica e biodinamica. Il discorso si sposta allora sulla ricerca, a partire sulla resistenza della vite, campo nel quale non si fanno passi avanti da decenni, anche a causa di certi pregiudizi sugli studi di genetica. “La vite europea, infatti, ha almeno 500 geni deputati alla resistenza delle malattie, ma senza ricerca certe potenzialità non si possono esprimere” ribadisce Scienza che prosegue “eppure proprio come per il superamento dell’anemia mediterranea, basterebbe modificare due basi, una cosa che non porterebbe alcun disequilibrio nel Dna della vite, per rendere la pianta resistente praticamente a qualsiasi malattia della vite. È la cosiddetta “correzione del genoma”, con cui, nel giro di poco tempo, potremmo avere 50 varietà resistenti, senza apportare alcun cambiamento alla struttura genetica della vite.

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Vincenzo Gerbi

Per fare tutto ciò – chiosa l’ordinario di Enologia all’Università di Milano – ci vorrebbero sia una struttura che dei fondi, che andrebbero a finanziare i giovani ricercatori. Non è così difficile: produciamo 2 miliardi di bottiglie all’anno, se ogni produttore si auto tassasse di 2 centesimi a bottiglia potremmo contare su 40 milioni di euro l’anno”.

Dello stesso parere Vincenzo Gerbi che chiosa: “Il vino non è un prodotto naturale e affidarsi alle fermentazioni spontanee è un modo poco sicuro di fare il vino. Giusto usare i propri lieviti, ma a patto che siano buoni, perché nella produzione enoica non ci si può affidare al caso, dobbiamo lavorare nella consapevolezza di produrre un buon prodotto, che sappia stare sul mercato. Poi – conclude Gerbi – se parliamo di impatto sull’ambiente allora un senso la definizione di naturale ce l’ha. Anzi, è una nostra grande responsabilità quella di restituire all’ambiente acqua pulita alla fine del processo produttivo, puntando ad un vino italiano totalmente sostenibile, che abbia rispetto per terra, acqua e aria”.

Ecco allora che l’espressione “vino naturale” assume significato nella valenza produttiva, come espresso anche nelle parole di Angelo Gaja e Walter Massa.

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Angelo Gaja

Angelo Gaja: “Naturale è uno dei termini più belli che esistano, ed i consumatori oggi si aspettano un vino con qualcosa in meno, meno manipolazione, meno chimica. Quella del vino naturale, oggi, è una sfida per tutti i brand del vino, che vivono di riconoscibilità e condivisione: il consumatore compra ciò che lo attrae di più, ed oggi il produttore deve conoscere tanto il saper fare quanto il far sapere, ma chi si mette sulla strada del vino naturale comunque si mette sulla strada giusta, porta con sé la voglia di lavorare meglio in vigna ed in cantina. È questa la strada giusta per riprendere quel percorso che ha portato il vino italiano, tra gli anni ’70 e gli anni ’90, a diventare un brand forte in tutto il mondo, grazie soprattutto al lavoro di piccole e medie imprese, ma serve riprendere in mano l’iniziativa, puntando sulla nostra ricchezza varietale, che fa del nostro vino l’accompagnamento ideale per ogni piatto, di ogni cucina: dobbiamo entrare nella ristorazione internazionale. Gaja sottolinea anche il ruolo cruciale della ricerca: “Qui si gioca la sfida più importante, a partire da un confronto franco sugli Ogm e sul riscaldamento globale, ma anche sui batteri e sulle malattie delle piante.

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Walter Massa

A esprimersi sul termine naturale è anche Walter Massa, il riscopritore del Timorasso: “il vino è una grande cosa quando si fa in maniera naturale: in una produzione equilibrata dentro al grappolo c’è già tutto, e dietro, per fare un grande vino, ci deve essere un produttore che sappia essere fine biologo e grande comunicatore.

Vino naturale dunque come filosofia produttiva e come risposta ad una domanda del mercato, come evidenziano anche da Helmuth Kocher, direttore del Merano Wine Festival, e Stevie Kim, a capo di Vinitaly International.

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