I vini delle rocce del Supervulcano del Sesia

Un caso unico al mondo.

Circa 300 milioni di anni fa, quando sulla Terra esisteva un solo continente chiamato Pangea, un vulcano esplose eruttando un’immensa quantità di materiale e sprigionando un’energia pari a 250 bombe atomiche. Successivamente, i processi di formazione delle Alpi sollevarono e ruotarono la parte di crosta terrestre in cui si trovava il vulcano esploso, mettendone in evidenza il sistema di alimentazione, fino a circa 30 km di profondità.

Secondo voi essendo nato a Novara, quindi abitando a 25-30 km da queste zone, potevo non dedicare un articolo all’appassionante serata che si è svolta il 6 Giugno a Novara nell’affascinante Casa Bossi opera del architetto Alessandro Antonelli, evento promosso dall’Agenzia Turistica della Provincia di Novara e dall’Associazione Supervulcano Valsesia e Sesia Val Grande Geopark, zona riconosciuta anche dall’Unesco.

La serata, mi pare doveroso ricordarlo, è stato condotta da alcuni esperti: Silvano Sinigoi scopritore del Supervulcano, sul tema “Le rocce del Supervulcano”, Edoardo Dellarole Presidente del Sesia Val Grande Geopark, su “I vini d’acqua e di fuoco”, Rossano Terrazzano, collaboratore del Gambero Rosso, su “Geologia e denominazioni”. La degustazione ha visto protagonisti i vini prodotti da uve Nebbiolo che crescono nelle terre del Supervulcano: Ghemme, Boca, Gattinara, Bramaterra, Lessona ovvero le denominazioni dell’alto Piemonte più rappresentative, che a mio avviso tirano fuori la classe, l’eleganza ed una complessità tra le più riconoscibili tra le varie denominazioni del principe di tutti i vitigni italiani, sua maestà il Nebbiolo, localmente chiamato Spanna.

In queste denominazioni, a parte il celebre Gattinara Docg, lo Spanna è quasi sempre assemblato con un 15-30 % di Vespolina e Uva Rara, vitigni autoctoni a bacca rossa, che donano al vino maggior intensità cromatica e tendono ad ammorbidire un tannino, che proprio per la peculiarità di questo terreno ricco di acidità, di certo non passa inosservato, anche se ultimamente sempre più produttori stanno puntando a vinificare 100 % Nebbiolo credendo nella sue enormi potenzialità, magari prolungando l’affinamento in botte prima di uscire su un mercato che, grazie a Dio, un po’ alla volta sta orientando i suoi gusti verso vini di maggior pregio, eleganza e bevibilità, rispetto a quei super “marmellatoni” concentrati mangia e bevi che tanto andavano di moda qualche anno fa, ma in i gusti sono gusti.

Per quanto riguarda la degustazione ho dato priorità, come sempre, alle “novità”. Trovandomi a dover fare i conti con il tempo a disposizione ed alla capacità di cogliere le sfumature, cosa che inevitabilmente dopo un po’ di campioni degustati si perde, questo consiglio sento di darvelo sempre, meglio pochi campioni ma degustati bene. Mi sono concentrato su tre denominazioni: il Boca, il Lessona ed il Bramaterra, che in questi ultimi anni grazie al genio e la capacità di alcuni piccoli produttori, come ad esempio Christoph Künzli dell’azienda Le Piane e Luca De Marchi dell’azienda Proprietà Sperino, hanno saputo rilanciare queste zone portandole all’attenzione soprattutto del mercato estero. Tutti i vini degustati hanno in comune un colore rosso rubino o granato, più o meno carico a seconda della percentuale di Vespolina, buona trasparenza, eleganza di profumi al naso con sottili sfumature, ottima bevibilità, lasciano in bocca una piacevole sensazione dissetante e rinfrescante nonostante il tenore alcolico dai 12,5 ai 13,5 % vol., a seconda dell’annata e la buona sapidità e freschezza data da terreni ricchi di minerali.

Il Lessona Doc, da un terroir di sabbie plioceniche di deposito marino miste qua e là a loess argilloso, mentre nei fondi valle si riscontrano giacimenti di sabbie marine con fossili di conchiglie è un vino elegante, il naso è estremamente fine, frutta fresca come la ciliegia e fragola, violetta, note balsamiche di mentolo, una nota minerale iodata molto leggera quasi da vino bianco, ha una struttura media ma una lunga persistenza, piacevolmente sapido, lievemente tannico ma è la freschezza la sua arma vincente.

Il Bramaterra Doc, da suoli con ph acidi costituiti da sabbie porfiriche di origine vulcanica di colore rosso bruno dona al vino un profumo particolarmente minerale, complesso ma molto fine, sembra quasi davvero di annusare i porfidi, tra l’altro disponibili nel banco di Odillio Antoniotti. Continuando ad annusare sento note di ciliegia sotto spirito, pepe nero, sempre l’inconfondibile note balsamica, note di talco e felce. Il palato in questo caso ha una sapidità maggiore rispetto al Lessona ed un corpo più pronunciato, ma la freschezza e la corrispondenza alla spezia ed alle note fruttate è davvero incantevole.

Il Boca Doc, a mio avviso la denominazione migliore delle tre, la più completa ed equilibrata presente nell’intero territorio di Boca e parte di quello di Maggiora, Cavallirio, Prato Sesia e Grignasco gode di un suolo di origine vulcanica, venato da scaglie porfiriche di colore rosa, da sabbie drenanti, arido e acido dona ai vini un eleganza ed un equilibrio tra note minerali, soprattutto agrumate di arancia rossa e speziate, davvero senza pari. Queste tre sfumature creano assieme un naso molto caratterizzato che permette subito di distinguere la tipologia, forse ancor più di tutte le altre denominazioni dell’Alto Piemonte. Il vino ha una struttura ed un corpo di media intensità, lunga persistenza, tannino percettibile ma di estrema eleganza, la corrispondenza è giocata tutta sulle note speziate e agrumate, insomma un grande vino Piemontese che di certo non avrà paura di invecchiare, come anche gli altri che ho descritto.

Le aziende che ho preferito, senza nulla togliere alle altre, sono Antico Borgo dei Cavalli e Podere ai Valloni per il Boca Doc, la Prevostura per il Lessona Doc e Odillio Antoniotti per il Bramaterra, hanno prevalso per una maggior capacità di preservare le peculiarità del terreno che era il fulcro dell’intera serata.

Spero di avervi incuriosito parlando delle mie terre e mi auguro presto di bere assieme a voi un meraviglioso calice di questo prezioso nettare figlio del mitico Supervulcano, alla salute!

 

Andrea Li Calzi nasce a Novara, dove attualmente vive. Nel  2004 si avvicina al mondo del vino che, di tutte le sue passioni è quella a cui dedica più ore del suo tempo libero. Non contento di ciò che ha imparato dai libri comprati e dalle aziende vitivinicole visitate in svariate regioni d’Italia, ha deciso nel 2012 di frequentare i corsi dell’Associazione Italiana Sommelier e dopo aver letteralmente “divorato” i tre livelli del corso, finalmente a Giugno 2013 si diploma assieme a Danila, la sua attuale compagna con cui condivide questa passione e anche grazie al suo aiuto fonda il blog Fresco e Sapido.

 

Related Posts

Ultimi Articoli