Pitti Taste, a Firenze va in scena il teatro dell’enogastronomia di qualità. Ecco alcuni assaggi

Era la prima visita a questo ricercato salotto dell’agroalimentare italiano. Un format promozionale di grande successo, che ha come organizzazione Pitti Immagine: società di eventi e comunicazione conosciuta universalmente, da decenni impegnata nell’industria della moda e del design.

Il cibo è sempre più linkato al concetto di bellezza: non esiste, infatti, un ingrediente sgradevole agli occhi, che riesca a regalare una piacevole esperienza al palato, per cui, quello tra l’estetica e la gastronomia è un accostamento ormai automatico e conclamato. Oggi, l’alimentazione è influenzata come non mai da mode e da scelte diverse di lifestyle, diventata sinonimo di cura della persona e di esperienza edonistica.

Così, da dodici edizione, Pitti Immagine rivolge la sua attenzione e le sue risorse al settore food & beverage, dando vita alla kermesse fiorentina Pitti Taste. Un evento sorto attorno al successo e alla notorietà, acquisita negli anni, da Pitti Uomo, piattaforma internazionale nata nel 1972 e dedicata al settore moda, di scena nell’elegante cornice di Palazzo Pitti, nel cuore della Firenze storica. Come divisione di Pitti Immagine, Pitti Taste mette in mostra l’eccellenza e la qualità espressa dall’agroalimentare italiano ma non solo, strizza l’occhio anche a piccole chicche in arrivo da altre nazioni. Un autentico teatro del cibo, tra lunghi banchi d’assaggio, disegnato e colorato da tinte e sfumature proprie dei prodotti in degustazione. Il tutto accolto nella austerità di una vecchia stazione ferroviaria, la Leopolda di Firenze, ristruttura e rivalutata per offrire la giusta ambientazione a grandi eventi e manifestazioni.

Un sabato diverso dall’ordinario, un pomeriggio trascorso a sorseggiare e mordere ciò che di buono offrivano i produttori ai loro banchi, gustose delizie che ben interpretavano e, soprattutto, rappresentavano i variegati territori d’origine. Ciò che più mi ha colpito è stata l’organizzazione degli spazi: mettere accanto e presentare insieme, senza divisioni per regioni, aziende piemontesi, pugliesi, venete, campane, lombarde, siciliane, toscane e di altre aree geografiche, per me ha significato fare squadra, far emergere esclusivamente le capacità e le abilità del sistema produttivo italiano, tutto insieme, con un unico marchio di fabbrica dal gusto artigianale.

Lo ammetto, io ero di parte. Le aziende partecipanti contavano ben 380 brand diversi, sarebbe stato sfiancante e autodistruttivo immaginare di assaggiare ogni cosa. Per cui, ho scelto ogni mio step in funzione di ricordi personali, d’altronde il cibo prima di essere sostentamento per il corpo è soprattutto linfa per l’anima, viaggio all’indietro per recettori olfattivi e visivi, un rewind che porta a rivivere i luoghi e le esperienze significative della propria vita. E così, mi sono concentrato sulle cose buone espresse da Campania, Toscana e Piemonte, alternando questi assaggi a pause forzate e impreviste, lasciandomi andare a desideri fugaci e momentanei, come per esempio le bollicine francesi della Champagne.

Erano quelle della maison Arlaux, proprietaria di vigneti nel comune di Vrigny, poco distante dalla montagna di Reims, vero cuore della Champagne. Interamente classificati come premier cru, l’azienda oggi coltiva vigne con piante di Pinot Meunier pre fillossera, resistite all’invasione infestante sopraggiunta in Francia a metà ‘800. Ho avuto il piacere di degustare il Brut Grande Cuvèe, blend di Pinot Meunier, Pinot Noir e Chardonnay, il Brut Grand Bourgeois, 100% Meunier, il Brut Spécial Réservedal lunghissimo affinamento in botte e il Millesime Rare 2002, frutto del meglio di una sola vendemmia. Vini puliti, eleganti, delicati, dal naso complesso e dalla bocca piena e corposa, insomma un’esperienza gustativa, sul suolo d’oltralpe, davvero soddisfacente e appagante. Dopo una piccola parentesi dedicata ai cugini francesi, abili vigneron dai baffetti fini e all’insù, a cui i viticoltori italiani vengono spesso paragonati, e quando il paragone è fatto con i primi della classe, a mio avviso, è sempre positivo e stimolante, ho rivolto l’attenzione ai vini di casa nostra, quelli prodotti in Toscana, in un paradiso della biodiversità di nome Chianti Classico.

Ho conosciuto, infatti, Elena Oprea, qui in rappresentanza di Dievole, azienda vitivinicola sita nel comune di Castelnuovo Berardenga, poco distante dalla città di Siena. Quattro i vini degustati, interpretazioni diverse del vitigno principe della Toscana: il Sangiovese, anche nel suo biotipo Grosso; due etichette prodotte dal Podere Brizio di Montalcino e due dall’azienda Dievole di Castelnuovo, appartenenti alla stessa proprietà. Un wine tasting iniziato con la nuovissima propostarosè di Dievole, ‘Le Due Arbie’ Igt Toscana 2016, un vino dal packaging accattivante e dal colore davvero ammaliante, frutto di un leggera macerazione di uve Sangiovese in purezza; poi, un sorso della loro flagship, il Chianti Classico Docg 2015, un assoluto ambasciatore del territorio chiantigiano; successivamente, i due vini Podere Brizio, il Rosso di Montalcino Doc 2015 e il Brunello di Montalcino Docg 2012, un autentico simbolo della vitivinicoltura italiana nel mondo. “Aziende dalla lunga storia enologica – mi dice Elena Oprea – ma dalla nuova e ambiziosa proprietà che, dal 2012, sta investendo tanto per consentire di raggiungere a questi brand un’importante notorietà sui mercati, oltre a un’eccellente e massima qualità in vigna e in cantina. Il patron è l’argentino Alejandro Pedro Bulgheroni, uomo impegnato nella produzione vinicola in diversi Paesi del mondo, come appunto l’Argentina, l’Uruguay e la California”. I vini assaggiati sono il risultato dell’impegno di un enologo come Alberto Antonini, fine e preciso maestro d’orchestra: nel calice mostravano bene le potenzialità di un terroir altamente vocato alla viticoltura; colore, profumo, struttura tutto ben equilibrato, vini con sfumature del suolo e delle uve chiare ed evidenti. Setosità, armonia e piacevolezza nel rosè, che al palato ricordava l’acidità del polpemo e la freschezza della pesca bianca; eleganza e calore nei rossi, da cui si distinguono note floreali, come sentori di viola, e piccoli frutti rossi maturi, come la ciliegia. Cosa dire… una visita a Dievole è doverosa!

Dopo la sosta toscana, accompagnato dalla mia dolce metà, abbiamo girato più volte gli spazi di questo elegante circo di mercanzie. Lei, lucana di nascita, è rimasta folgorata davanti a un piccolo altarino fatto di rossissimi peperoni cruschi, un autentico mantra per chi è cresciuto con i profumi della cucina made in Basilicata. Personalmente, da buon cilentano d’adozione, è bastata la lettura del nome di un’azienda per colmare di allegria e felicità il mio animo: Santomiele, laboratorio dolciario in Pignano Cilento (SA). Davanti a me c’era una vetrina palpitante di Fichi Bianchi del Cilento: una goduria, una gioia, un’enfasi di piacere in terra per il palato. E’ una di quelle piccole produzioni che rendono il nostro Paese celebre, ammirato e invidiato in tutto il mondo, uno dei brand più esclusivi nel settore dei prodotti alimentari di nicchia. Antonio Longo, l’artigiano produttore di questi mini sogni di gusto, con la cordialità, la gentilezza e la determinazione che contraddistingue gli uomini del Sud, mi dice: “Ah sei delle nostre zone? Bene, bene, vieni qua, ti regalo il fagottino di fichi impacchettato in foglie di alloro. Devi sapere che il Fico Bianco del Cilento è facile da digerire, ricco di fibre e zuccheri. Siamo presenti in tutto il mondo con questo prodotto, e anche con altri. Per noi questa è una vocazione: coltivare, trasformare e reinventare i fichi, per riprendere l’attività di famiglia e vivere a pieno il nostro territorio e le sue tradizioni”. Fichi ripieni con mandorle, noci, nocciole, bucce di agrumi, ma anche ricoperti di cioccolato e immersi nel rum. Praticamente… la più incontenibile commozione che possa essere regalata a fortunate e ingenue papille gustative!

Un po’ più in là, un banco che mi riportava di nuovo alle mie origini. Leggevo Italianavera Sughi & Affini, azienda con sede a Nocera Inferiore (SA). Era d’obbligo fermarsi: la mia città natale, la mia squadra di calcio, e un prodotto, il sugo di pomodoro, che per chi è nato in Campania viene consumato fin dai primi passi con la stessa frequenza di utilizzo del latte. Un qualcosa di essenziale, insomma, una tradizione, una cultura, che vede, nella tarda stagione estiva, le famiglie del Sud Italia riunirsi, assegnare a ognuno un compito diverso e, come in un rituale, raccogliere, cuocere e imbottigliare il sugo di pomodoro. Qui, c’era la giovane e dinamica Diana Attianese, titolare dell’azienda, che fin da piccola, a San Marzano sul Sarno, osservava attenta le donne mentre raccoglievano il cosiddetto ‘oro rosso’: il pomodoro. Il primo impegno di famiglia, a cui Diana ha impresso la forza della sua giovane età: creatività, entusiasmo e passione, aspetti a volte capaci di dar vita all’impossibile. E così, oggi, c’è un brand e uno stile di comunicazione davvero attraenti, una lettura di un lavoro ‘antico’ in ottica attuale e innovativa, un prodotto della tradizione arricchito da storie e contenuti interessanti e coinvolgenti. Packaging, etichette, materiale promozionale, sito, blog, e ovviamente, in primis, qualità e attenzione nelle materie prime, nel processo di trasformazione del prodotto e nella sua commercializzazione, tutto seguito direttamente da lei e da chi, costantemente, l’affianca nella sua azienda di Sant’Egidio del Monte Albino.

E per concludere questa visita a Pitti Taste n. 12, avevo piacere di soffermarmi in Piemonte, l’angolo del globo che attualmente mi ospita. Ho scelto il desk dell’Antica Torroneria Piemonteseche, con i suoi tartufi dolci, aveva tentato il mio stomaco e, soprattutto, la mia, facilmente corruttibile, gola! Una realtà dolciaria di alta qualità, ben rappresentate il golosissimo territorio delle Langhe, con sede a Grinzane Cavour (CN), poco lontano dalla città di Alba. Qui, è tutto un godimento per la bocca: vino, nocciole, cioccolato, tartufo bianco, una moltitudine di prodotti alimentari che trovano in questa terra una fedele e onesta alleata. Li, sul banco, c’erano tartufi dolci, torrone e il delizioso cioccolato gianduja, una vera e propria celebrazione della Nocciola Piemonte IGP. Ampolle in vetro colme di squisiti dolcetti distinti dagli accecanti colori dei loro incarti, dove inserire la mano e sceglierne uno, a causa della comune e infinita bontà, era qualcosa di profondamente impegnativo, una decisione che procurava sudore e attimi di difficoltà. Ma alla fine, sono riuscito a pescare: tartufo dolce Gianduja, incarto arancione, morbido e croccante allo stesso tempo, con un indimenticabile sapore di nocciola e cacao, dolce e non stucchevole. Ed era con questo attimo di felicità, che mi sono lasciato andare a una solenne promessa: “tornerò in questo luna park gastronomico anche la prossima edizione”.

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